Quando Gassman era un sovversivo

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Nugoli di spioni, incaricati dai governi democristiani, assediano gli intellettuali italiani in un clima teso e cronisticamente impegnativo. E’ questo lo spettacolo al quale ci invita il saggio di Mirella Serri, Sorvegliati speciali, appena uscito da Longanesi. L’autrice, che da lungo tempo segue i fasti – e soprattutto i nefasti – dei maà®tres-à -penser della sinistra italiana, tra rivelazioni veementi e a volte tardive, ha trovato ora un terreno di prima mano sul quale fondare il proprio lavoro: mi riferisco all’apertura degli archivi del ministero degli Interni. Ciò ha offerto alla libera ispezione degli studiosi – fra i quali, con ammirevole tempismo, l’autrice – uno scrigno traboccante di curiosità  e di motivi di meditazione, specie su quella fase nevralgica del nostro dopoguerra che fu la guerra fredda. 
Nulla, infatti, come questi brani di letteratura poliziesca può restituire al lettore i segni del tempo, offrendone un’immagine istintiva e, in fondo, sofferta. Non avrebbe senso figurarsi dei segugi di regime dotati d’ironia. E infatti, rileva la scrittrice, i rapporti elaborati da questi «detectives all’italiana», operanti soprattutto negli anni tardi Quaranta e Cinquanta, sono «talvolta ingenui, spesso sgrammaticati, quasi sempre rozzi».
Ma proprio per questo li si gusta con sorpresa. I loro “elaborati” derivano da ciò che a buon diritto può considerarsi una “scuola”, e per giunta (a quei tempi) recente: quella che aveva imperato sotto il fascismo – o meglio si direbbe: sotto “i fascismi” – nel coniugare gli eventi ad uso del pubblico. Si capisce subito che il personale incaricato di svolgere quei programmi è rimasto immutato, al punto che su certi brani di prosa sembra stamparsi un marchio inconfondibile. 
Quando si legge che a una determinata mostra d’arte allestita a Roma sotto l’egida del Pci è presente «un gruppo di osannanti signore e signorine che posano a sinistrorse», che lo scenario mostra la «perfida e criminosa finalità » di «infangare» l’immagine del Paese, l’ereditarietà  risulta basilare. Un’altra circostanza mnemonica s’impone in tema di costume: l’insistenza sulla privata biografia dei personaggi sui quali “vigilare”. A proposito di un gallerista di sinistra, il gendarme avverte trattarsi di «un individuo scorretto, il quale mena vita disordinata e ha bisogno di notevoli mezzi finanziari che si procura senza eccessivo scrupolo».
Di un antropologo di larga fama, Ernesto De Martino, l’informatore rivela – nell’atto stesso, racconta Mirella Serri, di schedarlo «come un pericoloso sovversivo» – che «convive more uxorio con una signora dopo essersi separato della legittima consorte». Di un altro soggetto targato come progressista, Lidia De Grada, sorella di Raffaele, consigliere della Rai, si precisa che «da dieci anni convive maritalmente» con il pittore Ernesto Treccani, rampollo di famiglia celebre e dedito professionalmente – così rileva un altro segugio – «a un realismo dagli accenti nazional-popolari».
Su Luchino Visconti – ma qui siamo su un terreno molto arato – si precisa che, «notoriamente affetto da omosessualità », «esercita una forte influenza su giovani attori e registi, orientandone molti dalla sua parte politica», e in specie si cita Gassman. Quanto ai De Filippo, con particolare riguardo ad Eduardo e alle sue tendenze di sinistra, gli spioni si esibiscono con scrupolo. Anche qui la loro insistenza viene da lontano: di rado, in era fascista, una famiglia di artisti era stata seguita con tanta abnegazione in ogni manifestazione di un ilare dissenso condito da battute travolgenti. Ora la sorveglianza degli agenti più o meno speciali ha mutato segno (ma, si potrebbe aggiungere, soltanto un po’). 
Non mancano iniziative dal sapore più minuto, cioè le ispezioni effettuate per la proiezione non autorizzata di documentari in gloria dei progressi dell’Urss. L’epidemia viene colta con scupolo dagli informatori, le cui denunce riguardano piccole località  e ignoti propagandisti. E’ il caso di tale Raffaele Di Pietro da Scoglitti, frazione di Vittoria (Ragusa), il quale proietta, per 25 compaesani una serie di filmine, s’immagina edificanti, sul «teatro degli animali» e sul «teatro dell’agricoltura», ambientate (si prosegue nell’immaginare) in Urss. In Ancona e provincia, schermi allestiti «all’interno di abitazioni di indigenti simpatizzanti del Pci» si riempiono di vicende riguardanti il socialismo reale, mentre nella periferia di Roma va in scena con successo il film Mamme e bimbi in Unione Sovietica. Non di rado gli spettacolini sono allietati dall’offerta di dolciumi. In ciascuno di questi scenari di propaganda fa comunque irruzione la forza pubblica, trainata dai “mattinali” dei detectives. Vengono inflitti sequestri e multe, a volte anche in deroga del «parere contrario del pretore». Il che induce anche modesti proletari a considerarsi degli eroi. 
Sta di fatto che, dal grande al piccolo, l’impegno degli agenti di regime ha l’inconveniente di tramutarsi spesso in un boomerang: ecco la sensazione che percorre il testo di Mirella Serri. La quale – nel descrivere la tattica adottata dai “sorvegliati speciali” e del partito cui fanno capo – si riferisce alla «tecnica basilare del judo: assecondare la spinta violenta dell’avversario per volgerla a proprio favore». 
Il successo riscosso dal Pci fra gli intellettuali, e la stessa egemonia culturale ad esso proverbialmente riconducibile, vanno ormai riesaminati in un’ottica sportiva? Ecco l’invito che, nelle sue pagine più godibili, questo libro rivolge al lettore.


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