Giochi barocchi sulla scia di Carroll

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A cominciare dall’involucro: copertina volta e retro, risvolti e quarta riproducono quattro fotografie di Lewis Carroll, le sue bambine: mascherate, malinconiche, languidamente distese su sofà . Sicché l’immagine del risvolto di quarta, una foto in bianco e nero dell’autrice, potrebbe anche essere messa nello stesso catalogo: Sarah, ultima bambina di Carroll. Ma la Shun-lien Bynum non appare affatto triste: anzi, dal suo angolino, sembra che se la rida.
E poi, appena si entra nella scrittura, si viene acchiappati, irresistibilmente ammaliati, turbati. Anche se non pare esistere un vero e proprio plot, queste pagine celano enigmi: e il lettore, pagina dopo pagina, si trova a rincorrerli – pur con il fondato sospetto che i misteri potrebbero restare tali. Come a star dentro una grande ragnatela, non se ne individua ordito e trama: una tessitura bizzarra e potente, che tocca, mette in contatto punti emotivi molto sensibili. 
In breve: in un piccolo villaggio della provincia francese a fine Ottocento, dentro una casa accanto a un frutteto, una ragazzina, Madeleine, dorme non si sa da quando. La scrittura entra ed esce in continuazione da questo sonno, né è facile capire quale sia il sogno e quale sia la cosiddetta realtà . Una galleria di bizzarri personaggi sfila attraverso i brevi capitoli con andatura nonsensica: da «una donna grottescamente grassa di nome Matilde» cui cresceranno delle alette e che svolazzerà  goffa per tutto il libro; a Charlotte, la donna-viola-da-gamba, che suona se stessa furiosamente; a Margherita, la cantante lirica specializzata in parti maschili; a Monsieur Jouy, lo scemo del paese che si fa masturbare da Madeleine; agli Zingari che la rapiscono; a Monsieur Pujol, l’uomo flatulento, il malinconico petomane di cui Madeleine si innamora e col quale è costretta a una relazione sado-masochista; all’esigente vedova che comanda le danze; ad Adrien, il fotografo anche lui innamorato di Monsieur Pujol. Campeggia nelle buie stanze fumose della casa la figura della madre che cuoce infinite marmellate; popola la casa e la campagna intorno il coro, lo squittio di sorelline e fratellini, ogni poco chiamati a vegliare il sonno di Madeleine accarezzandola. C’è anche un padre, il sindaco e le sue due figliole, il farmacista, il prete. Intanto, mentre tutto avviene – mentre pere e mele cadono in terra nel frutteto a gragnuola, come una pioggia; mentre erbe fiorite crescono negli interstizi del pavimento; mentre un uomo giunge a svegliarla con un bacio e viene ingannato da un’immensa torta a forma di Madeleine – lei dorme, e le più efferate e sontuose avventure si dipanano: il collegio della Madeline di Bemelmans, quella «vecchia casa di Parigi ricoperta di vigne»; la storia del castrato Senesino che detronizza la cantante Margherita; la degenza di Monsieur Jouy (e sembra anche di Monsieur Pujol) nell’ospedale per alienati di Maréville; l’apprendistato da acrobata di Madeleine; le sue manine diventate, per punizione, muffole-palette. 
Il repertorio è picaresco, la cornice invece, il sonno di Madeleine, è immota, torpida, languida, erotica. Non sembra esservi logica nel rapinoso susseguirsi di storie, viene persino in mente che gli episodi potrebbero scambiarsi di posto senza che nulla cambi: e forse è davvero così, forse questo è un testo de-costruito. In cui però tutto si tiene a se stesso con estrema attinenza. E il collante, o attinenza, credo sia precisamente il livello di eccitazione interna al linguaggio di Shun-lien Bynum, eccitazione il cui motore è l’aspettativa: continuamente rinviata, mai esaudita. Risuonano, lungo le pagine, esortazioni come: «sì, sì, lo spettacolo sta per cominciare…». E tutti sembrano desiderare che «l’attesa durasse per sempre». La pervasiva e contemporanea presenza di aspettativa-desiderio e rinvio-timore mette il linguaggio in uno stato di fervido miserioso languore. 
Molti i riferimenti a personaggi storici e letterari, collezionati tra i più bizzarri e stupefacenti, in un grande gioco barocco. È il testo coltissimo di una nipotina di Carroll: che declina la vena «sadiana» di Angela Carter; che rende omaggio alla «camera chiara» di Roland Barthes; che rimanda alla repressione del desiderio della Casa delle belle addormentate di Kawabata; che modella l’amore omofilo di Adrien e Monsieur Pujol sui testi medioevali dell’abate di Rievaulx, «santo patrono» della comunità  gay. Ma personalissimo, acuto e molto intenso resta lo sguardo sull’età  di latenza (il sonno di Madeleine) e sulla prima adolescenza: in cui un eros indifferenziato e curioso esplora interni ed esterni; in cui tutto si erotizza, quando tutto sta per cominciare.


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