Romney, una corsa senza gloria vince ma non trascina gli elettori

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NEW YORK – Il giornale che fece dimettere Richard Nixon oggi curva su Kim Kardashian. Non si vive di solo Watergate e anche il gossip vuole la sua parte: così dice la legge, e i numeri, dell’online. Ogni mattina Marcus Brauchli, il direttore che mollò la guida del Wall Street Journal appena comprato da Super Rupert Murdoch, sventola al suo staff le meravigliose sorti e progressive del nuovo Washington Post: «Gennaio è stato un mese eccezionale digitalmente parlando. Abbiamo superato tutti i nostri record precedenti. Abbiamo battuto i nostro record del 9 per cento per pagine viste, del 14 per cento per visite e del 12 per cento per visitatori unici». Dice il New York Times, che alla svolta degli eterni rivali di Washington ha dedicato un informatissimo affondo, che la novità  ha fatto arricciare più di un naso nella redazione che fu di Bob Woodward e Carl Bernstein. E forse anche per questo il direttore Brauchli poco più di un mese fa ha chiamato a rapporto Woodward, Dana Priest, David Maraniss e Rick Atkinson, invitando i quattro premi Pulitzer a stringersi a coorte. 
Il Pranzo dei Pulitzer, come l’incontro di dicembre nella bella casa di mattoni rossi di Bethesda, Maryland, è stato ribattezzato, rischia di passare alla storia del giornalismo: il giorno in cui il gigante dai piedi di carta decise di scendere in guerra, per vincerla. Non si vivrà  di solo Watergate ma neppure di soli reality show. E l’invito del direttore ai grandi vecchi di rimboccarsi le maniche e tornare a dare una mano al giornale si sta già  traducendo in pratica: nelle ultime settimane perfino il vecchio Bob è infilato nelle riunioni dei più giovani colleghi. Tenere alta la vecchia bandiera sul terreno nuovo e ancora sdrucciolevole del giornalismo online non è impresa facile. 
Il mago dei numeri che Brauchli aveva chiamato per rilanciare l’online si chiama Raju Narisetti. È stato lui a guidare la redazione finalmente unificata tra carta e web. È stato lui a fare installare schermi dei computer più grandi su cui mentre scrivono i giornalisti vedono le percentuali di interesse degli articoli. È stato lui a lanciare sul sito la notizia bomba su Mitt Romney: il più quotato sfidante repubblicano di Barack Obama infarciva i suoi discorsi di citazioni del Ku Klux Clan. Peccato che la notizia bomba fosse falsa e il giornale abbia dovuto chiedere scusa. Narisetti no: se n’è tornato al Wall Street Journal dopo che i rapporti col direttore si erano fatti troppo tesi.
«Nel mondo del giornalismo c’è un mucchio di gente impregnata di nostalgia che guarda indietro ai tempi in cui c’era una visione statica e condivisa di come i quotidiani dovevano essere fatti» si è sfogato lo stesso Brauchli col New York Times: «Solo perché il Washington Post era fatto in un certo modo non vuol dire che il Washington Post deve essere fatto così anche nel futuro». Il New York Times dice ora che con il boom online il rivale è diventato è il secondo sito d’informazione d’America: dietro ovviamente a loro. Sottolinea anche che la svolta è dovuta alla perdita di 26 milioni di dollari: senza ricordare che per lo stesso Times le perdite sono invece di 40 milioni. Entrambi i giornali stanno tagliando personale: come tutti nel mondo perché questa è l’ineluttabile conseguenza di ogni innovazione tecnologica. Entrambi restano giornali bellissimi e ricchissimi. Ieri però il bellissimo pezzo sul Washington Post non era certo tra i più letti del Times: che al primo posto aveva la morte di Whitney Houston. E cosa aveva il Post? «Winning numbers drawn in Powerball game»: i numeri vincenti della lotteria.


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