Viaggio nelle carceri-killer d’Italia dove mancano anche i termosifoni

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ROMA – Sono diciotto, adesso, le croci piantate nei penitenziari italiani nei primi quaranta giorni del 2012. Dopo i 186 morti del 2011, e i 184 del 2010. Significa che abbiamo un sistema carcerario che chiude una tomba ogni due giorni: quindici morti al mese. E troppo spesso mantiene al di sotto della soglia di dignità  umana le condizioni di vita degli altri. La spiegazione è logora: non ci sono soldi. Ma è vero anche che i pochi che ci sono, chissà  dove finiscono. 

L’ultimo paradosso è di due giorni fa
: il direttore di Regina Coeli, Mauro Mariani, ha dovuto distribuire centocinquanta coperte e centocinquanta cappelli ai detenuti del sesto braccio, che con il termometro a meno dieci e senza riscaldamento rischiavano di restare congelati. Contemporaneamente nei garage del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sono custodite fiammanti Maserati da oltre centomila euro. Che però nessuno vede in giro. Perché quando ha saputo che c’erano quelle fuoriserie, con i termosifoni rotti a Regina Coeli, l’ex Guardasigilli Nitto Palma ne ha sconsigliato l’utilizzo ai vertici del Dap, per evitare l’ennesima polemica sugli sprechi di Stato.

E’ la stravagante situazione alla quale si appresta a mettere mano il nuovo ministro della Giustizia, Paola Severino. Che se l’è imposto come primo obiettivo: restituire ad ogni detenuto la dignità  che la Costituzione gli garantisce. Perché quello delle coperte e della Maserati non è un caso isolato: a Reggio Calabria, due detenuti nell’ospedale psichiatrico giudiziario li hanno salvati per un pelo dalla morte per congelamento. E’ successo tre giorni fa; uno di loro sta meglio, l’altro è in rianimazione. E a proposito di dignità  minima, è dovuta intervenire persino la Cassazione per affermare che un detenuto cieco con pochi mesi ancora da scontare può ottenere il differimento della pena, per non vivere «al di sotto di una soglia di dignità  che deve essere rispettata pure in carcere».

L’approccio del neo Guardasigilli, già  una settimana dopo il suo insediamento, era stato pragmatico e incisivo: cinquantasette milioni di euro per rendere vivibili le carceri ed estensione da dodici a diciotto mesi di pena finale da poter scontare ai domiciliari per le condanne non gravi. In questo modo avrebbe garantito un abbattimento secco della popolazione carceraria di tremilatrecento detenuti. Che tradotto in euro avrebbe significato un risparmio di 375mila euro per ogni giorno di detenzione evitata. Ma soprattutto il piano prevedeva una piccola rivoluzione sui criteri per l’arresto, che avrebbe cancellato il singolare primato delle carceri italiane che ospitano 743 detenuti stranieri ogni centomila italiani: più o meno il 36 per cento della popolazione carceraria, che occupa un posto per reati come lo spaccio o l’immigrazione clandestina. Con una serie di norme si limitava l’accesso in carcere, si velocizzava il processi e di rendeva immediata l’espulsione dello straniero. Un piano tecnico, dunque. Che lasciava al potere legislativo, al Parlamento, la scelta sulla scorciatoia più semplice, l’amnistia. Eppure i partiti e le contrapposizioni ideologiche lo hanno bloccato: con cinquecento emendamenti presentati durante il dibattito alla Camera, i parlamentari della Lega hanno annunciato la loro opposizione durissima. Sostenendo che il denaro, piuttosto, andrebbe speso a beneficio della sicurezza, cioè per arrestare a


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