Art. 18, Terminator Formigoni

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L’idea è diventata un progetto di legge regionale in Lombardia, che dovrebbe ottenere il via libera in consiglio domani, grazie al patto di ferro tra Lega e Pdl.
In pratica, l’azienda potrebbe proporre a ogni singolo lavoratore, in ogni momento del contratto – «in costanza di rapporto» – di sottoscrivere una procedura di «conciliazione». Con la quale il singolo rinuncia ad avvalersi dei suoi diritti di ricorso alla magistratura per ogni eventuale contenzioso dovesse insorgere, licenziamento compreso. Nel caso di estromissione, verrebbe «indennizzato» con una cifra peraltro nemmeno quantificata. In cambio, la regione ancora guidata da Formigoni «promette» al disoccupando la famosa «flexsecutiry lombarda», con accompagnamento alla «ricollocazione». Un’ipotesi illusionistica, che esiste nella realtà  attuale e tantomeno potrà  prender forma in una condizione di crisi economica. Da anni in Lombardia si perdono posti di lavoro e non se creano, in base al principio liberista che deve essere «il mercato» a farlo. La Regione, spiega Mirco Rota, segretario regionale della Fiom, «non ha fatto nulla per stimolare l’economia e le imprese locali; i posti di lavoro si creano solo con politiche attive per la crescita e lo sviluppo».
Come d’abitudine, la misura è invece giudicata «interessante» da Cisl e Uil regionali, in barba a qualsiasi pretesa di «unità  sindacale» ufficialmente difesa a livello nazionale. «Ci dispiace constatare – conclude Rota – che una battaglia che dovrebbe essere di tutti i sindacati non venga condivisa dalle altre sigle». 
Ma è evidente che la mossa della giunta di destra al Pirellone sia anche un tentativo di «entrare a gamba tesa» nella trattativa sulla riforma del mercato del lavoro in corso tra le parti sociali e il ministro del lavoro Elsa Fornero.
Ieri, come previsto, c’è stato un lungo incontro tra quest’ultima ed Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria. Al contrario di Susanna Camusso, il giorno prima, che era rimasta silente sui contenuti del colloquio, Marcegaglia è stata prodiga di dettagli. Il colloquio è stato molto «approfondito». Tra i nodi affrontati «il problema dell’apprendistato, del contratto d’inserimento, di quello che il ministro chiama la cattiva flessibilità  in entrata, la riforma degli ammortizzatori sociali con alcune cose da fare subito, mantenendo gli ammortizzatori che ci sono e poi magari pensando ad un’architettura diversa per il futuro, e ovviamente anche il tema dell’articolo 18 e della flessibilità  in uscita». Ovviamente…
È stato riferito anche di quanto discusso, la sera prima, tra sindacati e varie associazioni imprenditoriali. Con un gran profluvio di retorica e ideologia corrente, Marcegaglia ha spiegato che «ci siederemo al tavolo senza ideologie e senza pregiudizi, senza dire di no prima di sederci e ci aspettiamo che il sindacato faccia altrettanto». Su un solo punto il presidente uscente di Confindustria è sembrata stare con i piedi ben piantati per terra: gli ammortizzatori sociali. Il perché è presto detto: le varie forme di cassa integrazione sono tutte «misure a favore delle imprese» (solo secondariamente anche dei lavoratori coinvolti nelle ristrutturazioni), dato che consentono di scaricare sul fondo (o sull’Inps) le retribuzioni di un certo numero di dipendenti.
È singolare la reticenza sindacale ad ammettere quel che Confindustria, di fatto, rivendica apertamente. L’art. 18 e molti altri capitoli «sensibili» sono 
Il tutto lascia pensare – come auspicato sia dal ministro che da Confindustria – che «la prossima settimana», quando tutti si rivedranno a palazzo Chigi per sottoscrivere un «accordo» che ricalca in tutto e per tutto quel che il ministro Fornero – senza consegnare agli interlocutori neppure uno straccio di documento scritto, giurano – aveva esposto fin dal primo incontro. Chiamare tutto ciò una «trattativa» sarebbe davvero eccessivo. Monti sarà  contento, visto che aveva programmaticamente cancellato persino la «concertazine» dal novero delle prassi ammissibili sotto il suo imperio.


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