Emergenza debito

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Un paese sull’orlo del collasso, economico e sociale. La Grecia entra nel suo terzo anno di crisi, consapevole che una sua discesa agli inferi della bancarotta potrebbe trascinare l’euro in un buco nero dalle conseguenze imprevedibili. I numeri di Atene per il 2011 sono impietosi: deficit al 10,6%, Pil a -7,4%, disoccupazione al 18,2%, tassi di interesse sui titoli decennali addirittura al 32,8%, reddito pro-capite a 13.660 euro. E il 2012 non può che peggiorare la situazione, visto che sarà  ancora recessione. A poco sono servite le manovre lacrime e sangue che il governo Papandreou prima e Papademos poi hanno messo in campo. Le previsioni non lasciano scampo. Tagli, licenziamenti, sacrifici, privatizzazioni, prepensionamenti. Questo ha chiesto la troika Bce-Ue-Fmi per incassare le due corpose ciambelle di salvataggio, i pacchetti internazionali che per Atene sono vita: 110 miliardi il primo, stanziato nel 2010 e poi lentamente rilasciato in 7-8 tranche, 130 miliardi il secondo, ancora congelato in attesa che il governo di coalizione guidato da Papademos trovi la quadra su altri pesanti sacrifici. 
GLI INIZI
La crisi parte il 19 ottobre 2009 quando il governo socialista di Papandreou che vince le elezioni anticipate del 4 ottobre annuncia che i conti pubblici sono peggiori di quanto certificato e dichiarato dal precedente Esecutivo del conservatore Karamanlis, con un debito pubblico da 160 miliardi di euro e un deficit che poi Eurostat quantificherà  al 13,6% del Pil contro il 6% scritto nero su bianco. La tragedia greca inizia da qui e investe l’intera Europa e l’euro. A dicembre Standard&Poor’s taglia il rating sul debito di Atene che entra nel mondo della tripla B, prima di precipitare nella C e ora nella D di default.
IL PRIMO PIANO
Il 2 maggio del 2010 l’Europa e l’Fmi danno il via libera a un primo pacchetto di aiuti da 110 miliardi di euro in tre anni, condizionato a un severo piano di tagli alla spesa da 30 miliardi, e che sarà  erogato in più tranche condizionate al rispetto e al raggiungimento degli obiettivi di risanamento. Si tratta della prima scialuppa di salvataggio decisa nei confronti di un Paese dell’Eurozona. Cominciano le manovre severe, i primi scioperi, il malcontento popolare.
IL SECONDO PIANO
L’austerity porta tasse, licenziamenti a catena, rinunce a tredicesime e quattordicesime, un avvio di privatizzazioni e un dimagrimento a tappe forzate della macchina statale, obiettivamente inefficiente e sovradimensionata. Ma non basta. A luglio del 2011 i leader dell’Eurozona capiscono che occorre un secondo pacchetto di aiuti da 109 miliardi che poi diventano 130 miliardi il 27 ottobre. 
LE CONDIZIONI
A questo punto la dieta per Atene diventa ancora più rigida e i conti attentamente monitorati. In particolare la troika chiede un numero di statali a quota 600 mila dai 760 mila, privatizzazioni per 50 miliardi in un quinquennio, un avanzo primario dell’1,1% nel 2012 e un calo del deficit dal 9 al 5,4%. Numeri impossibili da centrare senza aizzare le piazze. Papandreou prova la carta del referendum, annunciato il 31 ottobre e poi ritirato. Alla fine arriva il governo di coalizione di Papademos che vara una Finanziaria per il 2012 molto severa.
RISCHIO COMMISSARIAMENTO
Anche le nuove misure non convincono. A fine gennaio la Germania pensa a un piano per commissariare Atene. Berlino vuole il veto sui conti ellenici, ovvero mettere sotto il controllo Ue le decisioni chiave sul bilancio greco, per l’incapacità  di Papademos a risanare.


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