Lo spread ai tempi dell’art.18

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Le cose, insomma, sembrano andare benino visto che meno spread significa (dato che i tassi tedeschi sono bassissimi) che lo stato italiano pagherà  meno interessi sull’enorme debito pubblico. Non a caso – secondo primi calcoli – con questo livello di spread, il Tesoro risparmierà  circa 40 miliardi di interessi nel prossimo triennio. Ma per gli analisti il ribasso è ancora insufficiente: l’ideale sarebbe che lo spread si riducesse almeno a 200 punti. Ma come fare?
C’è da dire che la Bce ce la sta mettendo tutta rifornendo le banche continentali di liquidità  (cioè soldi) quasi gratis: nei prossimi giorni è attesa una nuova asta con la quale dovrebbero essere collocati circa 1000 miliardi per tre anni all’1%. Se non soldi dati gratis, poco ci manca. Draghi, inoltre, sta seguitando ad acquistare (un po’ meno, però) titoli pubblici italiani, spagnoli e di altri paesi «derelitti» per cercare di frenare l’ascesa dei rendimenti e possibilmente ridurli. Di più: l’inflazione – salvo impennate climatiche – sembra si stia riducendo. D’altra parte la concomitanza di politiche economiche recessive sta frenando la domanda interna di molti paesi, ma anche la domanda europea visto che l’interscambio commerciale sta segnando il passo. Non è un caso che in Germania – il dato è stato comunicato ieri – la produzione industriale in dicembre abbia registrato una brusca frenata.
Ma torniamo all’Italia. Secondo gli economisti una discesa dei tassi e dello spread si può realizzare a due condizioni: a) una secca contrazione del debito pubblico; b) una ripresa sostenuta della crescita. La prima condizione implica una forte tassa patrimoniale straordinaria da 200-400 miliardi che, però, Monti non è politicamente in grado di far digerire al Pdl, azionista di maggioranza del governo. Quanto alla ripresa, Monti sostiene che con la sua azione di governo – in particolare le liberalizzazioni e le semplificazioni – il Pil potrebbe risalire di circa il 10%. Un incremento straordinario al quale, tuttavia, pochi economisti credono. E allora, come ridurre lo spred? La soluzione l’ha trovata ieri Roberto Mania su la Repubblica: bisogna abolire o taroccare l’articolo 18, in quanto «agli occhi degli investitori internazionali abbiamo recuperato credibilità , ma non completamente». Scrive ancora Mania che «la prossima discesa passa secondo il governo Monti – da un intervento netto e chiaro sul mercato del lavoro compreso l’articolo 18. Perché questo può dare il segno della discontinuità  e può ‘regalarci’- stando alle stime dei tecnici al tavolo del lavoro – altri duecento punti di affidabilità , quasi tornando alla situazione pre-crisi».
Mania è giornalista serio e non si inventa quello che scrive, ma è bravo a raccogliere progetti e voci. Che in questi ultimi tempi non sono mancate da parte sia del premier che della Fornero anche se – subdolamente – hanno preso l’argomento alla larga. Sostenendo, tra l’altro, che il lavoro fisso non esiste più, è antistorico vista che la globalizzazione obbliga alla massima flessibilità . Certo, l’articolo 18 non sarà  abolito di colpo, ma sarà  depotenziato per poi – in un prossimo futuro – dargli il colpo finale. Sarà  introdotta, ad esempio la possibilità  del licenziamento individuale per motivi economici. Banalmente: vi sembra possibile che licenziando un lavoratore su cento l’impresa possa raddrizzare il proprio bilancio? Falso ovviamente. La novità  sa tanto di escamotage per togliesi da torno i lavoratori che contestano ritmi di lavoro, nocività  e bassi stipendi. Confindustria lo sa bene, ma incasserà  con piacere la novità  e sciaguratamente l’accetteranno anche Cisl e Uil. Sarà  restaurata la parità  di condizione tra lavoratori giovani e quelli anziani. Al ribasso e con piena flessibilità  e licenziabilità .


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