Atene torna in piazza per l’ultima resistenza “Non ne possiamo più”

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ATENE – La speranza prima della rabbia: l’idea che anche la Grecia possa restare agganciata all’Europa, che una via d’uscita dalla crisi sia appena un passo dietro i sacrifici, potrebbe aver cominciato a farsi largo almeno in parte fra i dimostranti di Atene che contestano le misure di austerità  considerate inevitabili dai partner europei e dalle istituzioni finanziarie, quando il Paese è ormai al quinto anno consecutivo di recessione. Ma il bilancio della giornata resta drammatico, con ventimila persone in piazza, in una città  paralizzata dallo sciopero generale, con il porto del Pireo completamente fermo, i siti turistici chiusi e i trasporti pubblici bloccati. Scuole, banche e musei erano chiusi, mentre persino gli ospedali marciavano a ritmo ridotto, con il personale all’essenziale per far fronte ai casi di emergenza.
Ma oltre alla polizia in assetto antisommossa, a ridurre lo spazio delle proteste è arrivata anche una pioggia torrenziale. Ieri mattina i contestatori mandati in piazza dal Pame, il sindacato vicino al partito comunista, si erano riuniti come al solito in piazza Omonoia, in pieno centro, verso le 11. Ma il tempo era contro di loro: oltre a decine di agenti, i dimostranti si sono trovati ad affrontare scrosci continui che ne hanno reso il cammino più difficile.
Il corteo di protesta è arrivato fino al Parlamento, scandendo slogan contro il governo e contro la “troika”, i rappresentanti del Fondo monetario, dell’Unione europea e della Banca centrale europea. «Ora tutto è nelle mani del popolo», ha commentato Aleka Papariga, segretario del partito comunista: «Li spazzerà  via tutti, oppure butterà  via senza risultato le lacrime e la rabbia per i vecchi e i nuovi pseudo-salvatori».
Qualche scaramuccia fra i dimostranti e la polizia ha caratterizzato invece il corteo di Gsee e di Adedy, i due maggiori sindacati che raggruppano i lavoratori del settore privato (700mila aderenti) e di quello pubblico (350mila). I contestatori sono arrivati fino alla scalinata davanti al Parlamento, a fianco del monumento al Milite ignoto, gridando slogan come: «Ora basta, non ne possiamo più», o: «Non chinate il capo, fate resistenza», oppure: «Diciamo no a condizioni di lavoro medievali». Sugli striscioni si leggeva nei dettagli il rifiuto delle condizioni richieste dalla troika: «No ai licenziamenti nella funzione pubblica» (ne sono previsti almeno quindicimila), «No alla diminuzione del salario minimo» (che attualmente è di 750 euro mensili) e «No alla riduzione delle pensioni».
Il momento di tensione massima è arrivato quando alcuni dimostranti hanno iniziato a scrivere con la vernice spray sui muri dell’edificio parlamentare, e hanno dato alle fiamme la bandiera della Germania, considerata la massima responsabile della linea di intransigenza con la Grecia. Stavano per fare lo stesso con una bandiera nazista, quando la polizia è intervenuta e ha sparato candelotti lacrimogeni.
Mentre le guardie in costume tradizionale venivano evacuate, i manifestanti sono stati spinti verso la vicina piazza Syntagma, dove sono intervenuti altri agenti con elmetti e scudi protettivi, disperdendo la folla. Ma la partecipazione era già  limitata rispetto ai giorni scorsi: «Sono stati salvati dalla pioggia», ha detto all’agenzia Reuters Ilias Iliopoulos, segretario generale di Adedy, il maggior sindacato dei dipendenti pubblici. Secondo Iliopoulos, «solo il brutto tempo ha impedito alla gente di scendere in piazza e mostrare la sua rabbia».
Fra i dimostranti, era robusta la percentuale di dipendenti pubblici. Vassilis Bakalis, funzionario del museo Bizantino e cristiano, si riparava dalla pioggia sotto un poster che rappresentava il museo con sopra la scritta: “In vendita”. «Quanto guadagno? Non lo so nemmeno io», raccontava alla Agence France Presse: «Nel 2010 erano 1400 euro, l’anno scorso circa 1100, quest’anno devo calcolare anche le ritenute retroattive, alla fine sarà  di 800 euro». Aggiunge la sua collega Filipa Agathi, dipendente del museo da 21 anni: «Sì, 800 euro, ci hanno detto così, ma nessuno lo sa per certo».


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