“A mia insaputa” la famiglia si allarga

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Non ha la sfrontatezza di comicità  e di cinismo che in Claudio Scajola confinava con l’ironia e dunque con l’intelligenza del farsi fesso per farci fessi. In Rutelli è invece goffa quella stessa linea di difesa minchioneggiante: «Non faccio il ragioniere», «non leggo i bilanci», «siamo incazzati e amareggiati», «non sono un padrone che controlla la cassa». E forse perché inconsapevolmente, per forza di Storia, Rutelli rimanda anche al primo Craxi confuso che scaricava il suo «mariuolo» e i suoi «craxini», e al Forlani che voltava le spalle a Citaristi, all’Andreotti che negava il bacio … 
Ma Rutelli non è più soltanto un antico ‘non poteva non sapere’. È anche un moderno ‘a mia insaputa’ perché siamo ormai nel 2012 e Scajola ha per sempre rinnovato il frasario della ribalderia politica. Né ci sono il comunismo e l’anticomunismo ad appesantire di tragedia i costi della politica. Rutelli è un ‘a mia insaputa’ perché preferisce subire lo scherno pur di non affrontare la responsabilità  (politica) di quel fiume di danaro pubblico, almeno 13milioni di euro che finiva nei conti personali del suo uomo di fiducia, del senatore Lusi, suo braccio destro sin dai tempi belli della sindacatura di Roma, la stagione più felice e rimpianta del leader che diceva d’essere «cresciuto a pane e cicoria». Rutelli sbaglia: in gioco non ci sono la sua onestà  personale e il suo conto corrente privato, il suo patrimonio, la sua sobrietà  di vita, tutte cose che garantisco personalmente, ma ci sono la trasparenza e il costo della sua politica, l’uso dei rimborsi pubblici nel suo partito, ci sono il profumo del pane e l’umiltà  della cicoria.
“Pane e cicoria” voleva dire politica in tutte le sue asprezze, politica umiliata, politica dimessa, politica bastonata, ma politica in piena coscienza, fosse pure politica dove hanno un costo anche l’ammorbidire e lo smussare gli spigoli, fosse pure politica corrotta o che corrompe, ma comunque e sempre politica consapevole. 
E adesso invece Rutelli è diventato un politico «a mia insaputa». Il pane e cicoria era caviale e champagne, ma «a mia insaputa». L’amministratore della casa, il cassiere della ditta Rutelli, l’alter ego finanziario della bottega ‘qui pane e cicoria’ non era un parco asceta vegetariano ma un satrapo all’arraffo che esportava all’estero il danaro del partito, quei rimborsi che in nome di Rutelli otteneva e non spendeva ma accumulava. E poi, secondo l’accusa, faceva rientrare con lo scudo fiscale, come un evasore qualsiasi. E intanto Rutelli, che era cointestatario del conto del partito, approvava i bilanci che non leggeva. E mai si accorgeva che tutto il denaro gli veniva sottratto sotto il naso. E non se ne accorgevano i revisori e neppure le assemblee, e quando Lusi e il partito vennero citati in giudizio civile da Enzo Carra e Renzo Lusetti, Rutelli difese indignato la gestione economica del periodo 2009-2010. Si proclamava garante di un’economia di cui ora si dice vittima. Il Rutelli di oggi smentisce il Rutelli di ieri. 
E Arturo Parisi, che è da sempre il suo ruvido oppositore ed ebbe pure presagio della corruzione, ora dice di lui: «È un simpatico ragazzo», ben sapendo che dare del ragazzo a un signore incanutito è il modo più crudele per inchiodarlo all’imbarazzo e alla risatina appunto, come quella che cercava Scajola quando decise di farsi citrullo e inventò l’antropologia dei politici ‘a mia insaputa’. È questo il loro destino, questa la loro ultima spiaggia: provocare le risatine per evitare l’indignazione. 
Rutelli tuttavia non è all’altezza della maschera arguta e lepida di Scajola che non negava di avere le mani nel sacco ma diceva di non essersene accorto. Ci auguriamo che davvero Rutelli non sapesse nulla. Meglio un citrullo autentico che un replicante malinconico di Scajola. 
Ma Rutelli è comunque deludente perché più che al ribaldo sgamato che gioca e forse persino si diverte, inconsapevolmente rimanda, per contrappasso, a quel Craxi appunto al quale augurò di «consumare il rancio in galera», e speriamo che sia vero che «il giallo non c’è» e che tutta la dirigenza di quel partito sia stata vittima e mai complice di quell’unico capro.
Di sicuro nella commedia politica italiana Scajola è un caposcuola, è il nuovo romanzo, mentre Rutelli si nasconde nella quarta fila della vecchia filodrammatica dove si amputa il braccio destro: quel Lusi che, malgrado tutti i milioni e la casa e la villa, non ha certo l’antropologia sgargiante di Milanesi, non fa brum brum in Maserati come Lavitola e non somiglia neppure a Penati che è l’ideologia della tangente sul palcoscenico. Somiglia invece ai vecchi duri di una volta, e come un duro lo conoscono e lo riconoscono tutti, dalla Bindi a Giachetti: «Meticoloso, puntiglioso, integerrimo». Rutelli ancora adesso lo definisce « un arcigno boy scout». Somiglia, per dirla chiara, a un Greganti atipico, un cassiere di ferro, il cerbero fuori tempo massimo, non più a difesa dei grandi mostri ideologici del Novecento, ma di un circoletto di amici. È meglio ladro o fantasma della storia?


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