Euronervi a fior di pelle

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Nella lettera di invito che il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha inviato ai 27 capi di stato e di governo per il vertice informale di ieri pomeriggio a Bruxelles la situazione doveva tornare a una relativa normalità  nell’Europa sempre saldamente ancorata all’ortodossia neoliberista: dopo l’austerità , nell’agenda del summit c’erano la riforma del mercato del lavoro e l’occupazione giovanile, con il corollario della flessibilizzazione del mercato del lavoro. 
L’allarme occupazione è difatti enorme e se ne sono accorti anche nelle varie capitali: in Europa la disoccupazione è complessivamente al 9,8%, una cifra storica, ma per i giovani siamo a una media del 22%, con 15 paesi al di sopra di questa percentuale (tra cui la Francia) e otto paesi, (Italia, assieme a Spagna, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Portogallo e Slovacchia), che superano il 30% (il record è spagnolo, con il 45%). E la recessione minaccia l’Europa. Van Rompuy voleva discutere della destinazione di 82 miliardi di euro che sono nelle casse, pronti per gli aiuti regionali e per la piccola e media impresa, che negli ultimi dieci anni ha creato nella Ue l’85% dei nuovi posti di lavoro. 
I governi che, stando alle affermazioni di Sarkozy, pensavano che «con prudenza, si può dire che gli elementi di una stabilità  finanziaria siano posti», sono stati accolti dallo sciopero generale del Belgio, una mobilitazione che non si vedeva da vent’anni. E la crisi greca ha messo fuoco alle polveri. La Grecia non è arrivata a Bruxelles con in mano l’accordo con la lobby delle banche private, come invece era stato previsto (e sperato). Anche se pare che l’accordo, a piccoli passi, si avvicini, con le banche che dovrebbero accettare oltre a un pesante hair cut superiore al 50% anche dei tassi inferiori al 4% per le nuove obbligazioni che sostituiranno i vecchi crediti svalutati. 
Ma i nervi sono a fior di pelle, su un fronte e sull’altro. Atene non riesce a rispettare gli impegni presi e già  si profila un aumento del secondo piano di aiuti della Ue e dell’Fmi, che da 130 miliardi dovrebbe salire a 145. Ma Germania e Francia in testa non vogliono sentir parlare di sborsare nuovi soldi. In ogni caso, il varo del secondo piano è sospeso all’accordo con le banche private. Ma senza aiuti, la Grecia non potrà  rimborsare i 14,5 miliardi di debiti che arrivano a scadenza il 20 marzo e lo spettro del default si avvicina se non verrà  trovato un accordo entro l’eco-fin del 13 febbraio. Forse un vertice sulla Grecia si terrà  l’8 febbraio. 
In questo contesto, sabato è arrivata la proposta-bomba della Germania (appoggiata da Olanda e Svezia): mettere chiaramente sotto tutela Atene, intensificando la sorveglianza, al punto di nominare un commissario con l’incarico di vegliare sul bilancio greco, con poteri di veto per imporre la purga messa a punto a Bruxelles (diminuzione dei salari, tagli alla sanità  e ai servizi pubblici, maggiore flessibilità  del lavoro). Il governo greco ha reagito con forza: «Chiunque ponga a un popolo il dilemma tra aiuto finanziario e dignità  nazionale ignora gli insegnamenti storici fondamentali», ha affermato il ministro delle finanze, Evangelos Venizelos. La proposta tedesca è stata criticata da molti partner. «Inaccettabile» per il premier lussemburghese e capo dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker. «Non molto sana», per il ministro degli esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn, che suggerisce a Berlino di «fare attenzione a non ferire più del necessario». Per il cancelliere austriaco Werner Faymann «nessuno in politica ha bisogno di essere offensivo». Di fronte a queste reazioni, la Germania ha fatto un mezzo passo indietro: si tratta solo di «una riflessione generale» per «vedere cosa è possibile fare quando un programma di riforme continua a slittare», spiegano i portavoce del governo Merkel. Preoccupazione anche per il Portogallo, in piena recessione, che potrebbe aver bisogno di un nuovo aiuto nel 2013 per evitare il default, mentre i tassi sono saliti al 14%. Mario Monti, invece, continua ricevere felicitazioni. Oggi ritirerà  a Parigi, all’Assemblea nazionale, il premio di «Politico europeo del 2011».
Il Consiglio informale ha messo mano all’ultima stesura del nuovo trattato definito «inutile» dal nuovo presidente dell’europarlamento e rifiutato dalla Gran Bretagna, il socialdemocratico Marin Schultz, il super-Maastricht che incide nel marmo la “regola aurea” della disciplina di ferro dei bilanci: deficit strutturale massimo dello 0,5% del pil (contro il 3% del deficit congiunturale di Maastricht), con multe semiautomatiche per chi deroga (0,1% del pil), che la Germania vorrebbe estendere dal deficit al debito eccessivo (Francia e Italia sono i principali oppositori). La Polonia, con la Repubblica ceca, minaccia di non ratificare il nuovo trattato, se i paesi non-euro non verranno invitati ai due vertici annuali dell’eurozona. Ma chi non ratifica non potrà  ricevere aiuti dalla Ue. Il Fondo monetario preme perché l’Europa aumenti la forza del firewall (parafiamme) Mes, che entrerà  in vigore a metà  anno ed è dotato, per ora, di 500 miliardi. Ma la Germania non ne vuole sapere. Una decisione verrà  presa al Consiglio europeo di marzo. Sul tappeto c’è l’idea di un consolidamento dei bilanci «intelligenti», che significherebbe non imporre tagli alla cieca, evitare di colpire gli investimenti per l’avvenire, come la scuola, la ricerca, le energie rinnovabili. Schultz ha insistito sull’opportunità  della tassa sulle transazioni finanziarie, difesa anche dalla Francia.


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