La rivolta a ritmo di rap delle piazze africane

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La casa discografica Def Jam probabilmente non li scritturerà , ma Cheikh Oumar Cyrille Touré, di una piccola città  situata 160 chilometri a sudest di Dakar, e Hamada Ben Amor, un ventiduenne di una città  portuale 260 chilometri a sudest di Tunisi, forse sono due dei rapper più influenti nella storia dell’hip-hop. Touré, noto anche come Thiat (“Junior” in wolof) e Ben Amor, noto anche come El Général, sono accomunati dal fatto di essere stati arrestati per aver scritto canzoni di protesta e per aver messo in moto potenti movimenti politici. «Stiamo affogando nella fame e nella disoccupazione», sputa fuori Thiat in Coup 2 Gueule (“Invettiva” in francese), con il suo gruppo, i Keurgui Crew. La canzone di El Général intitolata Capo di Stato, invece, si rivolge all’ormai ex presidente tunisino Ben Ali. «Sono stati stanziati tanti soldi per progetti e infrastrutture / scuole, ospedali, palazzi, case/ ma quei figli di cane se li sono ingoiati tutti nella loro grossa pancia». È stato come aprire i cancelli delle chiuse che contenevano una rabbia che fino a quel momento trovava sfogo solo attraverso canali sotterranei o restava inespressa.
Durante la recente ondata di rivoluzioni nel mondo arabo e le proteste contro presidenti illegittimi nei Paesi africani, la musica rap ha dato espressione al malcontento dei cittadini per la povertà , l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, i blackout, la disoccupazione, la repressione della polizia e la corruzione politica. Le canzoni rap in arabo, nuova lingua franca del mondo hip-hop, si sono diffuse tramite YouTube, Facebook, audiocassette pirata, suonerie per cellulare e mp3, dalla Tunisia all’Egitto, dalla Libia all’Algeria, contribuendo a diffondere idee e inni man mano che le insurrezioni avanzavano. Il pezzo di El Général, ad esempio, figurava su un mix in audiocassetta diffuso dal gruppo dissidente libico Khalas (Basta), accanto a pezzi con titoli come Tripoli ti chiama e Sporco colonnello.
Perché il rap è diventato così influente in queste regioni? Secondo il senegalese Keyti, perché i rapper «sono più vicini agli umori della strada ed esprimono con la loro musica il senso di frustrazione diffuso tra la gente». Un’altra ragione sta nel tipico stile oratorio del rap. E in posti come il Senegal il rap si inserisce nel solco delle tradizioni orali dei “griot” dell’Africa occidentale, che usavano versi rimati per esprimere giudizi sui leader politici. «Il rapper è il moderno griot», mi ha detto alcune settimane fa Papa Moussa Lo, altrimenti noto come Waterflow. «Si sta facendo carico del compito di rappresentare il popolo». Mentre in Egitto il rapper Mohamed el-Deeb mi ha detto: «Alla radio passa sempre musica leggera inconsistente e canzonette d’amore, ma quando è scoppiata la rivoluzione la gente si è svegliata e non ha più accettato una musica vuota senza sostanza».
*(© 2012 The New York Times – La Repubblica. Traduzione di Fabio Galimberti)


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