Debiti e Sanzioni, le Regole Salva Euro

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L’Unione monetaria europea è più tedesca. Da ieri, anche sul piano formale: nella sostanza lo era già . La stabilità  dei conti pubblici e la convergenza economica diventeranno regole scritte nella pietra — una volta siglate formalmente in marzo e poi ratificate dai Parlamenti nazionali — forse già  dal 1° gennaio 2013: la soluzione di lungo periodo alle manchevolezze strutturali dell’architettura che sta alla base dell’euro. Il «Trattato sulla stabilità , il coordinamento e la governance» varato ieri dal Consiglio europeo — la 17° riunione da quando è scoppiata la crisi del debito europeo due anni fa — è un risultato voluto a tutti i costi dalla cancelliera Angela Merkel. È anche una vittoria del governo di Mario Monti che è riuscito a rendere meno oneroso il rientro a tappe forzate dal debito pubblico che incombe sul Paese.
Il nuovo trattato, conosciuto come Fiscal compact, prevede una serie di regole finalizzate a dare maggiore stabilità  finanziaria all’eurozona. Innanzitutto, stabilisce la cosiddetta regola aurea: «La posizione del bilancio allargato dello Stato sarà  in parità  (considerata tale con un deficit massimo pari allo 0,5% del Pil, ndr) o in surplus», con eccezioni ammissibili solo per cause gravi ed esterne al controllo del Paese interessato o per economie con un debito pubblico significativamente inferiore al 60% del Prodotto interno lordo (Pil). La regola aurea dovrà  essere introdotta rapidamente nelle legislazioni nazionali attraverso «leggi ineludibili e permanenti, preferibilmente costituzionali». Per quel che riguarda il debito pubblico, i Paesi che firmano il trattato si impegnano a ridurlo ogni anno sulla base di un benchmark pari a un ventesimo della parte di debito che eccede il 60% del Pil. Qui è dove Monti ha ottenuto un risultato non da poco.
Per l’Italia era importante affermare un concetto che era già  stato sostenuto in sede europea dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. E cioè che, nel considerare l’obbligo di ridurre l’indebitamento molto elevato — attorno al 120% del Pil — si sarebbero dovuti tenere presenti non solo i debiti dello Stato e della Pubblica amministrazione ma anche quelli dei privati (imprese e famiglie). Considerando l’indebitamento complessivo del Paese, infatti, la situazione italiana è molto meno peggio di quella che tiene conto solo del debito pubblico (il terzo al mondo). A fine 2010 — dati elaborati dalla società  di consulenza McKinsey — l’indebitamento pubblico e privato dell’Italia era pari al 313% del Pil, alto ma meno di quello — per dire — della Francia (341%), della Spagna (366), del Giappone (492), della Gran Bretagna (497). E non troppo diverso da quello degli Stati Uniti (289%) e della stessa Germania (284). Era dunque importante che nel trattato il basso livello di indebitamento dei privati fosse tenuto in considerazione per attenuare il passo (il benchmark) a cui un Paese è obbligato a ridurre il debito pubblico. Ciò è stato ottenuto: ora dovrebbe essere inferiore al 3% di Pil annuo.
Il trattato prevede che i Paesi che si allontanano dalla regola aurea abbiano in essere un meccanismo di aggiustamento automatico. Ma se questo non funziona stabilisce che siano messi in «procedura di deficit eccessivo», in modo semiautomatico, dalla Commissione Ue, la cui decisione potrà  essere annullata solo con un voto a maggioranza qualificata degli altri Paesi dell’eurozona. La procedura prevede un piano di bilancio ed economico stilato dal Paese in fallo ma condotto con il monitoraggio e la partnership della Commissione. Se il Paese non rispetta il piano, la questione sarà  portata davanti alla Corte di Giustizia della Ue da uno o più Paesi dell’eurozona, anche indipendentemente dall’opinione della Commissione: se cioè Berlino (o qualsiasi altra capitale dell’euro) volesse portare la Grecia davanti alla Corte potrebbe farlo anche con l’opposizione di Bruxelles e di tutti gli altri partner. Se il Paese sottoposto a procedura non si adegua alle decisioni della Corte, va incontro a sanzioni-multe fino a un massimo dello 0,1% del suo Pil. Il Fiscal compact approvato ieri sera, infine, prevede che l’Unione monetaria favorisca misure di crescita e di convergenza della competitività  di ciascun Paese, con l’obiettivo di evitare sbilanci tra le contabilità  e le economie nazionali. In un compromesso dell’ultima ora, i firmatari del nuovo trattato — 25 perché il Regno Unito lo ha rifiutato in dicembre e la Repubblica Ceca ieri — prevedono inoltre di tenere una serie di riunioni aperte anche agli otto Paesi firmatari ma che ancora non fanno parte dell’eurozona.
Frau Merkel torna dunque a Berlino con una bandiera da sventolare: le servirà  per dare assicurazioni ai membri della sua coalizione di governo, che vogliono garanzie di stabilità  «alla tedesca» per l’area euro in cambio di altri aiuti da mettere sul tavolo per alzare muri difensivi contro l’allargarsi della crisi sui mercati. Il trattato, però, piace a pochi Paesi che lo hanno accettato più per forza che per amore. A molti — ad esempio ai finlandesi che lo hanno detto attraverso il ministro degli Esteri Erkki Tuomioja e al nuovo presidente del Parlamento europeo, il socialista tedesco Martin Schulz — sembra «inutile e forse dannoso». Ad altri sembra assurdo: «Scrivere in forma di legge la visione tedesca di come si dovrebbe gestire un’economia, ed essenzialmente rendere le pratiche keynesiane illegali non è ciò che noi accetteremmo», ha detto ieri all’agenzia Reuters un funzionario britannico.
Secondo più di un commentatore, l’essenza del nuovo trattato era già  tutta contenuta negli accordi siglati dai partner dell’euro l’anno scorso: sei misure per rafforzare il Patto di stabilità  e la convergenza economica denominate — con humor tutto belga — Six pack, a scelta il contenitore delle lattine di birra o la «tartaruga» degli addominali del culturista. Solo l’insistenza della signora Merkel avrebbe obbligato a prendere la strada tortuosa e rischiosa del cambiamento dei trattati europei. Da Berlino rispondono che i cambiamenti introdotti sono radicali ed è necessario che i Parlamenti e le opinioni pubbliche nazionali ne discutano e li votino: diventare virtuosi come i tedeschi non è cosa che tutti necessariamente gradiscono.


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