Terre sempre più rare
Il ritorno in produzione delle miniere di Mountain Pass è l’ultimo atto di una specie di guerra commerciale in corso attorno a questi minerali.
«Terre rare» è il nome collettivo di 17 elementi chimici – scandio, yttrio, un gruppo di lantanidi – che hanno in comune alcune proprietà geochimiche: magnetismo, luminescenza e altro, che li rendono indispensabili in moderne applicazioni come i superconduttori, materiali luminescenti usati in applicazioni optoelettroniche, fibre ottiche: oggi non c’è industria high-tech che non ne faccia uso, dai magneti, agli additivi per la risonanza magnetica nucleare, fluidi catalitici, componenti aereospaziali e sopratutto come materiale fluorescente degli schermi dei televisori al plasma, senza contare le tecnologie legate alla difesa (visori notturni, certi radar). Le miniere californiane erano tra i maggiori produttori di «terre rare» fino agli anni ’80, poi hanno chiuso – proprio quando la domanda stava per esplodere. Il risultato è che oggi le rotte commerciali di questa materia prima tanto ricercata passano per la Cina, che possiede un terzo dei giacimenti noti e produce il 97% delle rerre rare consumate al mondo, soprattutto dai suoi giacimenti in Mongolia interiore. Il prezzo d’acquisto di questi minerali è esorbitante, e la Cina utilizza abilmente questo accresciuto potere di controllo geostrategico minerario: si è visto quando ha deciso di contingentare le esportazioni, in particolare verso il Giappone.
Per questo il Congresso degli Stati uniti sta studiando una legge per riattivare l’estrazione di terre rare. Chevron ha venduto lo scorso anno la miniera di Mountain Pass a Molycorp, che avrebbe ricevuto 500 miloni di dollari di incentivi statali – e per l’appunto ha già messo sul mercato la prima fase della sua produzione. Anche la grande industria cerca di ridurre l’impiego di questi lantanidi. Scriveva il Wall Street Journal (16 settembre 2011) che la Toyota, che utilizza magneti con neodimio nella sua auto elettrica Prius, sta lavorando a un motore senza questi elementi. General Electric, che impiega il rhenio nella fabbricazione di motori a reazione, sta sviluppando un programma di riciclaggio e riutilizzo di questi preziosi materiali. In Francia, nelle due fabbriche di La Rochelle e Saint-Fons, il gruppo industriale Rhodia sta riciclando batterie e magneti in disuso ottenendo almeno 200 tonnellate annue di queste terre rare. L’industria europea spera fra l’altro di poter contare sui depositi recentemente scoperti in Kvanefjeld, nel sud della Groenlandia. Intanto nella miniera estone di Sillamà¤e, dove si estraggono circa 3.000 tonnellate annuali di ossidi di questi minerali, si continua ad avvelenare terra, acqua, minatori e popolazione locale…
La corsa alle «terre rare» infatti ripropone tutti i problemi ambientali dell’industria estrattiva. Nel 2010 il governo cinese ha ordinato la chiusura di varie piccole miniere nel sud del paese che liberavano impunemente scarti tossici nelle acque. In Malesia, la giapponese Asian Rare Earth, sussidiaria della Mitsubichi Chemical Co., che estrae lantanio e gadolinio nelle miniere di Bukit Merah, ha dovuto sborsare più di cento milioni di dollari per la popolazione locale avvelenata con scorie semi-radioattive.
E in Europa? Saranno applicate le norme ambientali delle direttive «Habitat» (1992) e «Natura» (2000)? O passerà tutto in nome di «combattere la crisi mondiale, creare impiego e competere nel mondo delle materie prime» come sostiene la Neei, l’industria estrattiva non energetica europea?
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