Assistenti e Diaria quei Tagli Indolori ai Costi della Politica
ROMA — Parola di Antonio Mazzocchi, deputato del Popolo della libertà e questore della Camera: «Occorre regolarizzare la figura dell’assistente parlamentare e dargli una dignità sul modello europeo. Dargli qualifiche e uno stipendio determinato per legge, che poi verrà erogato direttamente dal Parlamento». Fin qui la promessa per mettere fine a un andazzo che fa convivere, nel luogo dove si fanno le leggi, commessi retribuiti come amministratori delegati accanto a giovani plurilaureati pagati una miseria e talvolta anche in nero. Basta dire che a Montecitorio gli assistenti parlamentari regolarmente registrati sono appena 236. Duecentotrentasei, a fronte di 630 deputati. «E ci sono deputati», lo dice Mazzocchi, «che spesso li registrano come colf o autisti».
Per attuare quella promessa l’ufficio di presidenza di Montecitorio, secondo il questore pidiellino, ha dato incarico al presidente della Commissione lavoro, il deputato ex Pdl, ex Fli, ora Responsabile, di scrivere un disegno di legge nel quale mettere in fila tutte quelle belle cose.
Eccolo, quel disegno di legge intitolato «Statuto dei Componenti del Parlamento». Ed ecco la norma che dovrebbe far cessare lo scandalo. Articolo 6, comma 2: «I componenti del Parlamento hanno diritto a essere assistiti da collaboratori personali da loro liberamente scelti. Le Camere assicurano la copertura delle spese effettivamente sostenute per l’impiego di tali assistenti, secondo condizioni e modalità fissate dall’Ufficio di presidenza della Camera». Ossia, l’Ufficio di presidenza rimanda a una legge il compito di «regolarizzare» i collaboratori e quella legge rimanda lo stesso compito all’Ufficio di presidenza: abbiamo capito bene? E le «qualifiche»? Lo «stipendio determinato per legge»? La «dignità sul modello europeo»?
Più ambigua, quella norma da gioco dell’oca non potrebbe essere. Com’è ambigua, del resto, la soluzione transitoria adottata ora in attesa della legge: pagare metà della somma sulla base di una rendicontazione. Il fatto è che quel contributo spesso consente ai parlamentari di mettersi in tasca una bella sommetta esentasse destinata a collaboratori inesistenti (3.690 euro mensili pro capite alla Camera e 4.180 al Senato). Quando addirittura non viene usato per versare l’obolo al partito: il che consente di recuperare fiscalmente il 19% da una cifra sulla quale non gravano imposte!
Tuttavia non è questa l’unica ambiguità contenuta nella bozza di questo «Statuto». Non viene nemmeno lontanamente sfiorata, per esempio, la questione del doppio lavoro: per cui oggi è consentito ai parlamentari di continuare a esercitare senza limitazioni un’attività professionale privata parallela. E forse in uno «Statuto» sarebbe stato opportuno introdurre almeno la previsione di un codice etico. Ma tant’è.
Chi poi continua ad affermare che i vitalizi sono stati aboliti, volutamente equivocando sul fatto che si è deciso modificarne il metodo di calcolo dal retributivo al contributivo, resterà di sale. Perché per l’articolo 5 deputati e senatori hanno diritto tanto «alla corresponsione di un assegno di fine mandato», cioè la liquidazione, quanto a «un assegno vitalizio». Anche questi, naturalmente, stabiliti da ciascuna Camera.
Quanto agli stipendi, finisce un regime durato 47 anni: l’indennità parlamentare non sarà più legata alla retribuzione dei magistrati. Tassata al 70%, sarà all’inizio di 6.200 euro netti al mese. Ma con la possibilità di beneficiare di un aumento, al 31 dicembre di ogni anno, «in rapporto alla media degli incrementi delle indennità parlamentari dei sei principali stati membri dell’Unione europea» nonché del Parlamento europeo. Chi voleva vedere come sarebbe stato applicato il criterio della «media europea» è servito.
Certo, l’indennità netta dei parlamentari in questo modo aumenta di circa 1.200 euro al mese: oggi è di 5.246 euro alla Camera e di 5.356 al Senato, ma scende a circa 5.000 euro per effetto delle addizionali Irpef locali. Per giunta, è bloccata mentre invece ai futuri stipendi sarà applicata una specie di scala mobile europea. Lo stesso Moffa, del resto, ripete nella sua relazione il ritornello secondo cui i parlamentari italiani sarebbero in realtà pagati meno dei loro colleghi europei. C’è scritto proprio questo: «Ai parlamentari europei compete un’indennità netta maggiore di circa 1.000 euro rispetto a quella dei parlamentari italiani e la fantasmagorica (testuale, ndr) cifra di oltre 11 mila euro mensili della nostra indennità parlamentare corrisponde in realtà , al netto delle ritenute… a una cifra significativamente inferiore ai 5 mila euro netti».
Va detto che in compenso la proposta prevede un taglio consistente agli altri emolumenti. Attualmente ogni deputato porta a casa in media 5.092 euro al mese fra diaria, rimborsi per i trasporti e le spese telefoniche. Lo «Statuto» Moffa stabilisce invece che per tutte queste voci non possa essere pagata una somma superiore al 30% dell’indennità netta: 1.860 euro. Cifra che dovrebbe portare la busta paga netta del parlamentare «base», cioè quello senza particolari incarichi (per i quali pure sono in vista limature), a 8.060 euro mensili. Circa duemila in meno di oggi. Che dolore…
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