“La storia di un cammelliere per raccontare la rivoluzione”
Yousry Nasrallah è il più grande dei registi egiziani, è un copto, un intellettuale e un rivoluzionario. Un anno fa la sua vita è cambiata. Il 2011 era iniziato con una sceneggiatura alla quale teneva molto e con un film in preproduzione. Ma il 25 gennaio ha sconvolto i piani. «Non avrei più potuto girare qualcosa che non fosse ambientata nella Piazza Tahrir» dice. Nasrallah prima di essere cineasta (e dopo una laurea in Scienze economiche) è stato giornalista. È il primo ad ammettere che fare un film su un momento storico che, più che risposte, pone ancora molte domande, è stata durissima. Ma il film sarà pronto per marzo (e per il Festival di Cannes) e si intitolerà Dopo la battaglia. Racconta un triangolo amoroso al Cairo: una ragazza borghese e laica innamorata di un povero cammelliere per turisti alle piramidi, manipolato dai clan vicini a Mubarak, e la moglie di lui, analfabeta, ma forte e intelligente.
Qual è la storia?
«Non è importante la storia. È importante il contesto nel quale il film si svolge e come questo contesto influenzi le vicende dei protagonisti. Mi sono ispirato a Europa ’51 e in generale agli altri due film di Rossellini girati nell’immediato dopoguerra: Paisà , Roma città aperta. Le storie c’erano, ma c’era soprattutto un cinema che doveva raccogliere i pezzi dopo decenni di fascismo. Un cinema che doveva ridare un’anima e una dignità a un popolo al quale una dittatura le aveva sottratte».
Ha girato in Piazza Tahrir?
«Sì. Il film inizia con le immagini (reali) di quella che noi chiamiamo “La battaglia dei cammelli”, quando cammellieri a cavallo caricarono i rivoluzionari sulla piazza. Era il 2 febbraio e protestavano a loro modo per la fame dei loro figli a causa della mancanza di turisti, per i loro cavalli che morivano, per i cammelli condotti al mattatoio. Erano i traditi della rivoluzione. Mahmoud, il protagonista del film, è uno di loro. Il film finisce il 15 ottobre con i fatti di Maspero, quando l’esercito attaccò una manifestazione pacifica di cristiani copti uccidendone 27, rivelando così il suo vero volto».
Come può un rivoluzionario fare un film dalla parte di un cammelliere, incarnazione della controrivoluzione?
«Perché è a partire dalla sua storia che potrò raccontare la rivoluzione. I cammellieri sono stati strumentalizzati dall’esercito. Dissero che erano armati, ma osservando al ralenti il video della “battaglia dei cammelli” (per il mio episodio in 18 giorni, film collettivo di registi egiziani, cui ho partecipato, subito dopo il 25 gennaio), mi accorsi che l’unica arma che avevano era la frusta, il loro strumento di lavoro. Li mandarono in piazza allo sbaraglio i loro padroni, tutti appartenenti a clan che durante la dittatura erano nel partito di Mubarak, sempre appoggiati dallo stesso esercito che ora dice di sostenere la rivoluzione. Cavalieri e cammellieri si sono fatti massacrare, la piazza li ha battuti e cacciati violentemente. E allora mi sono chiesto: un poveraccio che si è sempre guadagnato il pane sostenendo Mubarak e adesso è trattato come un nemico del popolo, come fa per ricostruirsi come essere umano?».
È ottimista, a pensare che con il voto del cammelliere le cose cambieranno in meglio…
«Non sono né ottimista, né pessimista. Non è questa la questione nell’Egitto di oggi la cui metà è analfabeta. Chi è abituato alla cultura e alla democrazia non potrà mai capire come, per esempio, dei copti abbiano votato per i salafiti. Ma, dopo la vittoria degli islamici alle elezioni di novembre, ci sono spesso episodi divertenti: in una piccola città del Delta i salafiti hanno cercato di chiudere i saloni dei parrucchieri e le donne li hanno cacciati con i bastoni. L’Egitto ha una società civile e femminile abituata a certi diritti. Non sarà facile per gli islamici cambiare questa maniera di vivere; e non sarà facile per noi conservarla. Quindi siamo tutti nella stessa barca. Ci siamo sbarazzati di Mubarak, ma qual è il nuovo Egitto che vorremmo?».
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