MA LA BANCA NON È IL MALE

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Recentemente, parlando allo Swarthmore College, sono rimasto sorpreso da una domanda: per uno studente è immorale cercare lavoro in una banca? Il corollario di questa domanda, è questo: guadagnare milioni di dollari con il private equity è “antietico”?
No, a entrambe le domande.
Guardo con simpatia al movimento Occupy Wall Street, ma bisogna che ci rendiamo conto che la finanza non è il demonio. Le banche hanno dato un immenso contributo alla civiltà  moderna: indirizzando il capitale sugli impieghi più efficienti hanno gettato le basi della rivoluzione industriale e della rivoluzione dell’informazione. Anche gli attacchi contro il private equity sono esagerati: non ha lo scopo di distruggere le aziende e raccoglierne le carcasse. L’obbiettivo è quello di acquisire aziende malgestite, renderle più efficienti (a volte licenziando la gente, ma spesso rivoluzionando il modello di impresa) e poi rivenderle realizzandoci un profitto. Questa è la natura dura e spietata del capitalismo.
Spero che i giovani che si dedicheranno alla finanza dimostrino giudizio, equilibrio e principi, invece di avidità  e voglia di truccare le carte, come la generazione precedente. Così come i comunisti sono riusciti a distruggere il comunismo, i capitalisti stanno screditando il capitalismo.
Un sondaggio del Pew Research Center, a dicembre, ha scoperto che solo un americano su due reagisce positivamente alla parola capitalismo, contro un 40 per cento che reagisce negativamente. Nella fascia d’età  fra i 18 e i 29 anni quelli che avevano una visione negativa del capitalismo erano più numerosi di quelli che ne avevano una visione positiva. Questi giovani americani vedono il socialismo in una luce più favorevole del capitalismo. In altre parole, i capitalisti arraffoni dell’America stanno trasformando i giovani americani in socialisti. Lo scetticismo dell’opinione pubblica è giustificato, a mio parere. Quasi tutte le grandi aziende hanno superpagato i loro amministratori delegati, compensando generosamente non solo i successi, ma anche i fallimenti. Le banche che hanno contribuito a provocare il disastro finanziario in cui ci troviamo sono riuscite a ottenere di essere salvate: hanno privatizzato i profitti e socializzato le perdite. Contemporaneamente, più di 4 milioni di famiglie si vedevano pignorare la casa. Banchieri e azionisti hanno trovato una rete di sicurezza a salvarli dalla caduta, le famiglie dei lavoratori no. 
Negli ultimi anni, questo è certo, tutti i giovani che si sono lanciati nel mondo della finanza non l’hanno fatto per smania di riformare questo sistema truccato, ma per spremerlo fino all’ultima goccia. Nel 2007, alla vigilia della crisi finanziaria, il 47 per cento dei laureati di Harvard è andato a lavorare in società  del settore finanziario: una colossale misallocation di capitale umano. Magari partono con buone intenzioni, ma poi tutti questi neolaureati finiscono per farsi prendere anche loro dalla smania dell’assalto alla diligenza. 
Quando i finanzieri truccano il sistema dovrebbero ricordarsi dell’ammonimento di John Maynard Keynes: «L’uomo d’affari è tollerabile soltanto se è possibile riscontrare una qualche correlazione, anche approssimativa, fra i suoi guadagni e quello che le sue attività  hanno apportato alla società ».
Le banche e il private equity non sono il male e io non esorterei mai gli studenti del college a tenersene alla larga. Forse i giovani simpatizzanti socialisti di oggi, insieme a una sana regolamentazione e allo sdegno esplicito dell’opinione pubblica, contribuiranno a salvare il capitalismo dai suoi capitalisti corrotti.
**(Traduzione di Fabio Galimberti)
Copyright The New York Times- la Repubblica


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