Camusso: “Per noi è no Ma trattiamo su fisco e tempi dei risarcimenti”

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I GIOVANI «Non serve un nuovo contratto ne esistono già  due, apprendistato e inserimento»
SUI CONTENZIOSI APERTI «Per le dispute previdenziali c’è una proposta interessante dall’Inps»
LE NUOVE GENERAZIONI «Lo ammetto, il sindacato poteva fare di più per organizzarle»

ROMA. Segretario Camusso, il momento è arrivato. Il premier vi chiede di non porre veti.
«Abbiamo detto chiaramente che per noi l’articolo 18 non può essere oggetto di discussione. A meno che non pensino di estenderlo».
All’inizio di una trattativa si dice sempre così. Eppure il governo si siede con l’idea di trovare un compromesso attorno alla proposta Boeri-Garibaldi: in sostanza la tutela dal licenziamento verrebbe garantita solo dopo tre anni di lavoro.
«Si sono costruite aspettative sbagliate. Abbiamo firmato un accordo con Cisl e Uil proprio per sgombrare ogni dubbio. Non c’è bisogno di introdurre un nuovo tipo di contratto. Per i giovani ne esistono già  di due tipi, si chiamano apprendistato e inserimento».
E’ opinione di molti che l’articolo 18 sia un elemento di irrigidimento delle assunzioni. Di più: crea un dualismo fra quelle con più di quindici dipendenti e quelle che ne hanno meno. Cosa risponde?
«Se la media delle imprese italiane avesse 14 addetti le direi che ha ragione. Invece i numeri ci dicono che sta fra i tre e i nove. Il problema delle imprese si chiamano credito e capitalizzazione. A giudicare dalle misure prese, mi pare l’abbia capito anche il governo Monti».
Ipotizziamo che io, imprenditore, assuma un dipendente a tempo indeterminato, e che poi quel lavoratore abbia comportamenti che ne meritino il licenziamento. Per ottenere ragione da un giudice devo aspettare in media cinque anni.
«Questa è l’unica questione sulla quale sono d’accordo con le imprese. Di soluzioni al problema ce ne possono essere diverse. Una può essere creare una corsia preferenziale. Per le dispute previdenziali c’è una proposta interessante elaborata dall’Inps».
I numeri dicono anche che siamo uno dei pochi Paesi in Europa in cui non c’è il licenziamento per motivi economici. Non è così?
«In Italia il licenziamento per motivi economici esiste eccome».
Se lei intende con questo la cassa integrazione è a carico dei contribuenti. O no?
«Sistemi come il nostro esistono in Francia e in Germania. E da loro lo Stato ci mette di più, non di meno. Qui semmai è troppo alto il prezzo che si chiede a imprese e lavoratori».
Nel documento unitario chiedete un minor carico fiscale sulle buste paga dei lavoratori. Può essere un elemento di trattativa?
«La manovra di dicembre ha introdotto nuovi sgravi Irap per l’assunzione di giovani e donne al Sud. Stessa cosa si è fatta per l’apprendistato. Questi interventi vanno nella giusta direzione».
Per estendere in via strutturale la cassa integrazione alle imprese più piccole chiedete un ulteriore aumento dei contributi a carico degli autonomi. Ma sono già  saliti molto, e il ministro Fornero è contrario.
«Non capisco l’atteggiamento del ministro. A regime, se non ricordo male, i contributi degli autonomi resteranno di nove punti al di sotto dei dipendenti. Mi pare troppo. Io resto convinta che un sistema di previdenza pubblico debba avere forme di solidarietà  interne».
Il ministro preferirebbe chiedere di più ai più ricchi. Ma non sarebbe un contributo simbolico rispetto a ciò di cui c’è bisogno?
«Certo, i parlamentari potrebbero dare di più. Ma non credo che quel contributo, per quanto alto, basterebbe a finanziare il sistema».
Direste no anche ad una riforma sul modello danese?
«Abbiamo fatto una simulazione di quel sistema in Lombardia. Costa troppo, non si può fare. Stiamo coi piedi per terra: qui il problema è evitare abusi e rendere il sistema più giusto».
Al tavolo oggi si siedono quattro sindacati che rappresentano lavoratori maturi se non pensionati. Mi dice una ragione per la quale un giovane si dovrebbe sentire rappresentato dalle vostre opinioni?
«In questi anni i giovani sono stati per così dire distratti da un mercato del lavoro che non li ha tutelati. Mi chiede se il sindacato poteva fare di più per organizzarli? Ebbene sì, lo ammetto. Ma credere che togliere tutele a chi un lavoro ce l’ha sia una risposta, beh, non credo nemmeno loro siano d’accordo».
E’ ottimista sull’esito della trattativa?
«Sono seriamente impegnata».


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