Se lo scandalo delle protesi al seno cancella il diritto alla bellezza

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Nel nostro Paese le protesi mammarie sono state sottilmente demonizzate e messe al rogo come strumenti di vanità  femminile ed espressione di narcisismo. Come la maggior parte dei medici, che vedono l’universo femminile da un’altra prospettiva, la mia posizione è all’opposto. Credo che la cura del proprio corpo, e della sua immagine, sia non solo legittima, ma anche terapeutica: credo che ricostruire il seno sia un dovere medico. Per questo mi sono battuto perché nessuna donna uscisse dalla sala operatoria senza seno. Ripeto spesso ai giovani senologi che la parola “seno” non indica un organo, ma l’incavo fra le due mammelle e che non è un caso che quell’affossamento fra due curve sia, in molte lingue, il nome di un simbolo della femminilità . Il seno racchiude in sé l’essenza della donna: la sensualità  da un lato e l’indole materna dall’altro. Asportare una mammella, o entrambe, significa quindi infrangere l’armonia perfetta del corpo femminile e, spesso, distruggerne l’identità . Tutto il possibile va fatto per evitare questo strappo violento alla psiche della donna. Il cancro è una malattia che va tolta dalla mente, oltre che dal corpo. Ma come è possibile che questo avvenga se una donna si deve confrontare ogni giorno, guardandosi allo specchio, con una mutilazione? Non ho mai creduto che dare importanza al corpo e alla sua sensualità  significhi non dare importanza al pensiero: una cosa non esclude l’altra, i due aspetti si integrano e non dovrebbero mai entrare in conflitto l’uno con l’altro. Se questo ragionamento vale per le donne che vogliono evitare un oltraggio grave alla propria armonia corporea per una malattia, non vedo perché non dovrebbe essere traslato anche a quelle che desiderano mettersi una protesi per motivi puramente estetici. Ad esempio una donna che ha poco o niente seno, potrebbe sentirsi inadeguata per un rapporto sessuale ed avere problemi seri con la propria autostima, come succede agli uomini che perdono la loro potenza. Solo una cultura sessuofoba può negare la gravità  di una tale situazione. La possibilità  di risolvere questo dramma con una protesi è dunque un grande progresso della medicina. Inoltre il principio di impianto di protesi sottopelle è ormai entrato nel comune pensare e sentire. Le “protesi estetiche” esterne (gli orecchini ad esempio) sono parte della nostra cultura da tempo, ma oggi abbiamo culturalmente accettato anche l’artificiale o l’estraneo dentro di noi. Ormai accettiamo serenamente organi artificiali, o valvole cardiache da animali, oppure ancora un cuore trapiantato, uno scandalo per molte religioni perché quel cuore può derivare da una persona impura che, insieme alla vita, trasferisce i suoi peccati al ricevente. 
Detto questo, ovviamente ogni intervento medico comporta dei rischi e l’impianto di protesi non si sottrae a questa regola. La storia delle protesi prodotte dalla ditta francese Poly Implant Prothese, le ormai note PIP, l’ha ricordato a tutto il mondo. Il caso continua a sollevare polemiche perché ancora non è chiaro come queste protesi abbiano potuto superare i severi controlli degli organismi competenti francesi ed europei. Il problema, in sintesi estrema, è che si rompono più frequentemente della media e che hanno all’interno un gel troppo liquido; ma è una sostanza che è stata studiata e testata prima di ricevere l’autorizzazione alla diffusione sul mercato. In ogni caso va chiarito che la rottura delle protesi, di qualsiasi marca, non comporta un rischio oncologico, in base ai dati oggi disponibili, che riguardano circa 10 milioni di protesi mammarie impiantate nel mondo. Poiché la protesi va comunque controllata con ecografia ed un esame clinico, l’invito alle portatrici di protesi PIP è quello di non mancare questo controllo, sapendo inoltre che ospedali, ministero della salute e enti europei hanno messo in atto programmi efficaci di informazione e tutela delle donne.Tutto il possibile va fatto per evitare questo strappo violento alla psiche della donna. Il cancro è una malattia che va tolta dalla mente, oltre che dal corpo. Ma come è possibile che questo avvenga se una donna si deve confrontare ogni giorno, guardandosi allo specchio, con una mutilazione? Non ho mai creduto che dare importanza al corpo e alla sua sensualità  significhi non dare importanza al pensiero: una cosa non esclude l’altra, i due aspetti si integrano e non dovrebbero mai entrare in conflitto l’uno con l’altro. Se questo ragionamento vale per le donne che vogliono evitare un oltraggio grave alla propria armonia corporea per una malattia, non vedo perché non dovrebbe essere traslato anche a quelle che desiderano mettersi una protesi per motivi puramente estetici. Ad esempio una donna che ha poco o niente seno, potrebbe sentirsi inadeguata per un rapporto sessuale ed avere problemi seri con la propria autostima, come succede agli uomini che perdono la loro potenza. Solo una cultura sessuofoba può negare la gravità  di una tale situazione. La possibilità  di risolvere questo dramma con una protesi è dunque un grande progresso della medicina. Inoltre il principio di impianto di protesi sottopelle è ormai entrato nel comune pensare e sentire. Le “protesi estetiche” esterne (gli orecchini ad esempio) sono parte della nostra cultura da tempo, ma oggi abbiamo culturalmente accettato anche l’artificiale o l’estraneo dentro di noi. Ormai accettiamo serenamente organi artificiali, o valvole cardiache da animali, oppure ancora un cuore trapiantato, uno scandalo per molte religioni perché quel cuore può derivare da una persona impura che, insieme alla vita, trasferisce i suoi peccati al ricevente. 
Detto questo, ovviamente ogni intervento medico comporta dei rischi e l’impianto di protesi non si sottrae a questa regola. La storia delle protesi prodotte dalla ditta francese Poly Implant Prothese, le ormai note PIP, l’ha ricordato a tutto il mondo. Il caso continua a sollevare polemiche perché ancora non è chiaro come queste protesi abbiano potuto superare i severi controlli degli organismi competenti francesi ed europei. Il problema, in sintesi estrema, è che si rompono più frequentemente della media e che hanno all’interno un gel troppo liquido; ma è una sostanza che è stata studiata e testata prima di ricevere l’autorizzazione alla diffusione sul mercato. In ogni caso va chiarito che la rottura delle protesi, di qualsiasi marca, non comporta un rischio oncologico, in base ai dati oggi disponibili, che riguardano circa 10 milioni di protesi mammarie impiantate nel mondo. Poiché la protesi va comunque controllata con ecografia ed un esame clinico, l’invito alle portatrici di protesi PIP è quello di non mancare questo controllo, sapendo inoltre che ospedali, ministero della salute e enti europei hanno messo in atto programmi efficaci di informazione e tutela delle donne.


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