Come voterà il deputato se è notaio o farmacista?
ROMA — Di astenersi non se ne parla. Anche perché se davvero non dovessero votare, a schiacciare il pulsante in Aula rimarrebbero in pochi. Al contrario, incuranti del conflitto d’interessi, un esercito di onorevoli e senatori avvocati, farmacisti, notai, commercialisti e architetti (tranne poche eccezioni) è pronto a votare e a far valere gli interessi di categoria sul decreto liberalizzazioni. Luigi D’Ambrosio Lettieri, farmacista pdl, respinge le accuse: «Sono amareggiato per la manipolazione mediatica, per questa voglia di vendetta e per l’enfatizzazione di presunte lobby». Concorda con lui Antonio Mazzocchi, avvocato pdl: «Parliamo delle lobby vere: dei banchieri e dei prof della Bocconi».
Il gruppo più numeroso è quello degli avvocati, molti nel Pdl: 133. Seguono medici (53), farmacisti (4), notai (4), commercialisti (23), architetti (13) e una novantina di giornalisti. Trasversali politicamente, ma spesso uniti nella difesa della categoria. Tra i legali ci sono nomi di peso come Angelino Alfano, Ignazio La Russa, Nino Lo Presti. Spiega Mazzocchi: «È folle l’idea di chiederci un preventivo: come si fa, non si sa neanche quante udienze ci saranno, è impossibile». Fuori dal coro Siegfried Brugger (Svp): «Non mi scandalizzo. Anzi si potrebbe fare di più, rivedendo l’esame di Stato». Massimo Donadi avvocato dell’Idv: «Le lobby? Potenti. Siamo un Paese corporativo, fermo all’età delle arti e dei mestieri. Ricordate cosa fecero gli avvocati contro Tremonti? Minacciarono di farlo cadere per salvare i loro privilegi». Donadi è a favore delle liberalizzazioni: «Purché riguardino tutti e non siano a macchia di leopardo». Ma, visto che ne fate una battaglia da anni, lei non si sente in conflitto d’interesse? «Il conflitto esiste, ma devono essere i gruppi parlamentari a farsi valere. E poi non ci si può lamentare un giorno dei politici di professione, burocrati di partito, e il giorno dopo attaccare i professionisti che arrivano in Parlamento».
I notai lamentano lo sblocco delle tariffe e l’aumento di 500 posti nella pianta organica. Antonio Pepe, notaio pdl: «L’abolizione delle tariffe aiuta le banche: sono loro a imporle e i giovani non se ne avvantaggeranno». Guadagnano troppo i notai? «La nostra tariffa è più bassa di cinque volte di quella dell’agenzia che fa mediazione nelle compravendite». E nel Pd? C’è un notaio fresco di subentro (a Piero Fassino), Francesca Cilluffo, che smentisce subito i luoghi comuni: «Non sono figlia di notai, ma di un operaio». Detto questo, la Cilluffo è solidale con i notai: «È vero, su questo non sono allineata al mio partito, ma spesso certe criticità derivano da un approccio tecnico e non politico». Esempio: «L’abbassamento delle tariffe porterà allo scadimento della qualità del lavoro».
Tra i farmacisti, Rocco Crimi (Pdl) non parla: «C’è conflitto, per questo mi sono messo apposta nella Commissione Cultura». Chiara Moroni (Fli) sì: «La soddisfazione dei clienti verso le farmacie supera il 90 per cento. Parlare di incentivare la vendita dei farmaci, come fossero mortadelle, è demenziale. Il tentativo del governo è quello di portare un pezzo di fatturato nelle cooperative rosse, non di abbassare i prezzi». Le parafarmacie? «Una follia di Bersani». Quanto alla casta: «Solo il 20 per cento delle farmacie passa in modo ereditario». D’Ambrosio Lettieri: «Aumentare il numero delle farmacie farà collassare il sistema. La demonizzazione delle professioni liberali non aiuterà il sistema. E poi perché fare a monte lo sconto al Voltaren, come fosse un caciocavallo? Piuttosto liberalizziamo l’intera filiera, cominciando dalle industrie».
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