Referendum, il 61% vuole entrare in Europa

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Ufficialmente, a eccezione di alcuni partitini dell’estrema destra neofascista, tutte le forze politiche presenti nel parlamento di Zagabria si sono espresse favorevolmente. Il «no» viene da alcuni movimenti extraparlamentari neoustascia e da un partito di ex combattenti (4 deputati) dell’ultima guerra civile o «patriottica» fondato da un ex delfino del defunto Tudjman, Branimir Glavas, che sta scontando la pena a parecchi anni di carcere per crimini di guerra. La sconta in Bosnia dove è nato e dove fuggì dopo la condanna. Le regioni per cui gli avversari all’ingresso della Croazia nell’Ue sono relativamente numerosi si chiamano Slavonia e Dalmazia, dove il risultato del referendum dovrebbe aggirarsi sul pareggio. L’Istria e la regione Quarnerina sono in testa ai «sì» con oltre il 70 per cento. Il risultato complessivo dovrebbe superare il 60 per cento, mentre i «no» raggiungerebbero il 31 per cento. L’affluenza alle urne dovrebbe sfiorare il 70 per cento degli aventi diritto. Della campagna referendaria la Croazia ricorderà  con l’amaro in bocca alcuni cortei di poche centinaia di scalmanati svoltisi a Zagabria e a Fiume, nel corso dei quali gli aderenti a una «Lega per la Croazia No» sono sfilati urlando slogan che ricordano gli odi seminati dai filoustasxia nel corso della cosiddetta «guerra patriottica» del 1991-1995. A favore dell’entrata in Europa si sono schierate anche le associazioni dei datori di lavoro, i sindacati di tutte le sigle, i pensionati, perfino la potente chiesa cattolica (sia pure tiepidamente) e la maggioranza dei reduci di guerra. Le prospettive di successo degli euroscettici sono quindi ridotte al lumicino. Fra le organizzazioni che hanno da sempre sostenuto l’ingresso della Croazia nell’Ue si è distinta l’Unione Italiana che in Istria e nella regione del Quarnero riunisce circa 30 mila connazionali. A dare particolare slancio ai sostenitori del «si» è stato il capo dello Stato, Ivo Josipovic (gode il sostegno dell’80 per cento dei cittadini) il quale si è impegnato in prima fila nelle tre settimane di campagna referendaria. I vertici del nuovo governo socialdemocratico non hanno nascosto nei loro discorsi al Parlamento e nelle piazze i gravi problemi che affliggono il Paese, soprattutto sul piano finanziario-economico, indicando peraltro che senza l’appoggio dell’Europa e, soprattutto, fuori dell’Unione, la situazione si aggraverebbe ulteriormente e svanirebbero le speranze di una ripresa entro il 2013. Il messaggio l’hanno capito tutti, anche nel partito Hdz, duramente sconfitto nelle recenti elezioni parlamentari per aver guidato per lunghi anni il Paese verso la rovina. Grazie a una giungla di corruzioni a tutti i livelli. Con l’avvento del governo di centrosinistra, all’inizio di quest’anno, e con l’entrata nell’Ue la Croazia per fortuna si sta avviando sulla strada della riscossa politica e sociale. Costerà  enormi sacrifici, ma i più sono disposti ad accettarli purché finiscano i privilegi. A cominciare dagli stessi parlamentari che hanno abolito le pensioni d’oro che avevano finora. Da lunedì, ha detto il presidente croato Josipovic, «lavoreremo per una fase superiore dell’integrazione», che sarà  completa dal primo luglio dell’anno prossimo. A ventidue anni dall’indipendenza della Croazia e in un clima, inaugurato proprio da Josipovic, di riannodata amicizia con la Serbia e con tutti gli altri Stati nati dal disfacimento della Jugoslavia. Nel 2013 sulla bandiera dell’Ue si accenderà  la ventottesima stella. Prima di allora si saranno felicemente concluse, e per sempre si spera, anche le crisi sulla linea di confine fra Croazia e Slovenia, dal golfo di Pirano alla terraferma. Ambedue i paesi, non più tardi di tre giorni fa, hanno accettato a priori il verdetto dei giudici internazionali.


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    SONO d’accordo con l’auspicio espresso domenica da Eugenio Scalfari: che l’Europa federale nasca, e la moneta unica si salvi.
In caso contrario avremo, al posto dell’Unione, tanti staterelli senza lode ma non senza infamia, non amici ma più che mai vassalli della potenza Usa. Torneremo alla casella di partenza: vinti dai nostri nazionalismi come nelle guerre mondiali del ’900.

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