Giustizia, maggioranza in difficoltà  si blocca il decreto svuotacarceri

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ROMA – Doveva essere una passeggiata. Sta diventando uno psicodramma. La maggioranza si divide sul carcere e sulle celle di sicurezza. La Lega ne approfitta, impone un voto, e al Senato raddoppia i suoi consensi grazie a 27 dissidenti. Il Guardasigilli Paola Severino è costretta a incassare uno stop, anche se solo di pochi giorni (se ne riparla martedì), al suo decreto di Natale che, per gli arresti in flagranza per reati non gravi, offre al pm la chance della permanenza negli uffici di polizia senza passare per il carcere. Ma proprio sulle camere di sicurezza e sui domiciliari, si registra l’aperto dissenso dell’ex Guardasigilli Nitto Palma, ma anche quello dell’ex pm e senatore del Pd Felice Casson. Dice il primo: «Non voterò mai una norma che mette ai domiciliari rapinatori e scippatori». E il secondo: «Non si può tornare indietro di 20 anni, il mio no alle celle di sicurezza è deciso». Capita così che l’intesa sulla giustizia raggiunta da Pdl, Pd e Terzo polo solo martedì sulla relazione della Severino, anche se limitata a quel “visto, ai approvi” senza dettagli sui contenuti, sfuma subito quando si affronta una questione delicata. 
Neanche due ore. Per la maggioranza è débacle. In aula il decreto. Che viene da una movimentata permanenza in commissione Giustizia, tant’è che i due relatori, Filippo Berselli (Pdl) e Alberto Maritati (Pd), firmano un primo emendamento che dà  i domiciliari a tutti gli arrestati, e in subordine le celle e poi il carcere. Severino pretende una modifica: domiciliari, celle, carcere, ma solo per i reati da giudice monocratico. L’uso delle camere di sicurezza passa in secondo piano. Ma in aula ecco la sorpresa. Palma, con gli ex sottosegretari Caliendo e Casellati, torna al carcere obbligatorio e in subordine ai domiciliari, com’è già  oggi. Celle ammesse solo per gli arresti facoltativi. A questo punto insorge il Pd. Anna Finocchiaro accusa Palma di essere «un Marco Antonio che porta sulle braccia il cadavere del decreto». Gaetano Quagliariello capisce l’aria e propone il rinvio. Si vota solo sulla proposta del leghista Mazzatorta che vuole cancellare d’un colpo tutto l’articolo sul carcere. Qui la maggioranza perde i pezzi, ben 52 i sì, oltre il doppio dei senatori del Carroccio, 198 i no, 3 astenuti. Chiosa ironico l’ex Guardasigilli Roberto Castelli: «La super maggioranza non va avanti perché ci sono grossi malumori nel Pdl per un esecutivo sempre più di sinistra». 
Si corre ai ripari. Riunione nella sala del governo con Severino, Palma, Caliendo, i relatori, la capogruppo Pd in commissione Silvia Della Monica che difende il ricorso alle celle come «una valida alternativa all’umiliazione dell’ingresso in carcere». Tutti assistono a un violento scontro tra Palma e il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri che contesta all’ex ministro le sue scelte in aula. Finisce con Severino che lascia l’incontro e dice: «Mi rendo conto che c’è un problema politico nel Pdl, conviene attendere che quel nodo sia sciolto prima di passare alle decisioni tecniche».


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