L’export di armi cresce verso i regimi con meno democrazia

Loading

Un quadro inquietante per un commercio che va, quanto meno, regolamentato e reso trasparente: il commercio delle armi. 470 pagine di tabelle e dati: è la «XII Relazione annuale sul controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari», che ricopre le esportazioni per il 2010. Un rapporto tanto più significativo perché il responsabile della pubblicazione è «Consilium» (il Consiglio dell’Unione Europea). Una relazione che sarebbe passata inosservata se non fosse stata rilanciata da un ampio gruppo di associazioni, reti e centri di ricerca di diversi paesi europei tra cui, per l’Italia, la Rete Disarmo e la Tavola della pace.
I dati innanzitutto. Da quelli forniti, emerge che il valore totale delle autorizzazioni (licences) di esportazione di armi nel 2010 è diminuito del 21% rispetto al 2009 quando avevano raggiunto un record di 40,3 miliardi di euro: nel 2010 ammontano a 31,7 miliardi di euro, una cifra vicina a quella del 2008 (33,5 miliardi di euro) che rappresenta uno dei valori più alti dall’attuazione nel 1998 di una politica comune europea sulle esportazioni di armamenti.
«Mentre il valore delle autorizzazioni all’esportazioni di armi verso i paesi occidentali (principalmente l’Unione europea e gli Stati Uniti) è sceso di oltre il 28%, è preoccupante notano le associazioni europee che le esportazioni di armi verso i Paesi delle economie emergenti e in via di sviluppo siano salite a 15,5 miliardi di euro, cioè a poco meno della metà  del totale. Se il valore delle esportazioni di armi verso i regimi repressivi del Medio Oriente e Nord Africa è sceso rispetto ai livelli record del 2009, anche nel 2010 le autorizzazioni all’esportazione di armamenti verso queste zone di forte tensione sono rimaste molto alte e superano gli 8,3 miliardi di euro».
«Ai sensi dell’articolo 15 della Posizione comune dell’Unione europea sulle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari, è prevista nel 2012 una revisione della normativa dell’Ue sulle esportazioni di armamenti. Tale revisione può essere efficace solo se si basa su informazioni attendibili e complete e su un dibattito informato», sottolineano le associazioni europee.
Informazione e trasparenza sono alla base di un controllo da parte di istituzioni e opinioni pubbliche. Otto Paesi (quasi un terzo degli Stati membri, tra cui due dei principali esportatori di armamenti al mondo, cioè Germania e Regno Unito) non hanno fornito dati completi sulle consegne di sistemi militari, rendendo così praticamente impossibile l’analisi delle esportazioni effettive di armi da parte dei Paesi dell’Unione europea.
«Al riguardo va evidenziata l’ampia anomalia dei dati forniti dall’Italia precisa Giorgio Beretta, analista della Rete Disarmo, che per primo ha esaminato il rapporto pubblicandone un ampio resoconto sul portale Unimondo -. Mentre, la Relazione ufficiale della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni di armamenti italiani per l’anno 2010 riporta come “operazioni di esportazione effettuate” un valore di circa 2.754 milioni di euro, il governo italiano ha segnalato all’Ue esportazioni effettuate per soli 615 milioni di euro. Se una minima differenza di dati tra i due rapporti può essere comprensibile, non può certo essere nell’ordine dei miliardi di euro soprattutto considerando che si tratta di consegne già  effettuate nel 2010 e quindi con armamenti già  passati e registrati dall’Agenzia delle dogane».
«L’Europa è ormai diventata il primo esportatore mondiale di armi sottolinea Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace contribuendo direttamente alla crescita dell’instabilità  e del disordine internazionale. In un mondo che sembra ormai fuori controllo, con delle istituzioni internazionali fortemente indebolite, mentre l’Europa viene pesantemente attaccata dalla speculazione finanziaria, non possiamo permetterci di continuare a disseminare il mondo di armi italiane ed europee. L’Europa non può essere un fattore di destabilizzazione internazionale. Prima ancora di essere contro i nostri principi è contro i nostri interessi e la nostra stessa sicurezza. Chiediamo dunque al nuovo governo di agire di conseguenza».
Usa, Russia ed altri Paesi europei hanno fornito grandi quantità  di armi a governi repressivi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord prima delle rivolte di quest’anno, pur avendo le prove del rischio che quelle forniture avrebbero potuto essere usate per compiere gravi violazioni dei diritti umani: altro rapporto, stessa denuncia.
A sostenerlo è Amnesty International in un rapporto intitolato «Trasferimenti di armi in Medio Oriente e Africa del Nord: le lezioni per un efficace Trattato sul commercio delle armi», che esamina le esportazioni verso Bahrein, Egitto, Libia, Siria e Yemen a partire dal 2005. I principali fornitori di armi ai cinque paesi di cui si occupa il rapporto di Amnesty International sono Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Russia e Stati Uniti d’America.
Armi al Colonnello. Amnesty ha identificato 10 stati (tra cui Belgio, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Russia e Spagna) i cui governi hanno autorizzato la fornitura di armamenti, munizioni e relativo equipaggiamento al regime libico del colonnello Gheddafi a partire dal 2005. Alcune delle munizioni recuperate in Libia erano anche di fabbricazione cinese, bulgara e italiana come, rispettivamente, le mine anticarro Tipo 72, componenti per razzi e i proiettili d’artiglieria da 155 millimetri.
Dalla Libia all’Egitto. Almeno 20 Stati hanno venduto o fornito all’ Egitto armi leggere, munizioni, gas lacrimogeni, prodotti antisommossa e altro equipaggiamento: in testa gli Usa, con forniture per un miliardo e 300 milioni di dollari all’anno, seguiti da Austria, Belgio, Bulgaria, Italia e Svizzera. Amnesty riconosce che «quest’anno la comunità  internazionale ha fatto alcuni passi avanti, limitando i trasferimenti internazionali di armi a Bahrein, Egitto, Libia, Siria e Yemen». Tuttavia, secondo Amnesty, «sono gli attuali controlli sulle armi a non aver impedito i trasferimenti negli anni scorsi».


Related Articles

Nuovi attacchi alle città  ribelli Misurata, bombardato l’ospedale

Loading

La coalizione: “Gheddafi non ha più l’aviazione”. Le forze aeree alleate sono intervenute massicciamente per fermare i carri armati

La lunga mano del Pakistan dietro al ricatto del terrore

Loading

WASHINGTON — Sono tenaci. Capaci di adattare le loro tattiche. Picchiano come fabbri, poi lasciano intravedere spiragli di negoziati. E godono delle simpatie interessate dei pachistani.

Nove anni in Iraq

Loading

Nove anni in Iraq

Le foto e la storia della guerra che finisce oggi, almeno ufficialmente

Oggi, 15 dicembre 2011, termina ufficialmente la guerra in Iraq. La guerra in Iraq iniziò il 20 marzo 2003 con l’invasione del paese da parte di una “coalizione di volenterosi”, come la definì l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush, formata soprattutto dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, e con contingenti minori di altri stati tra cui l’Australia, la Polonia, la Spagna e l’Italia.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment