Aumentare le licenze non abbassa le tariffe, bastano i prezzi massimi e le società  miste

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La mobilità  urbana non è un problema secondario per le città  europee. La disponibilità  di taxi ad un prezzo accessibile migliora il tenore di vita dei cittadini. In quasi tutti i paesi si è tentato di rendere efficiente il servizio di taxi, ma senza molto successo. Le tariffe all’estero sono minori e il servizio è più efficiente, ma spesso le differenze con l’Italia non sono molte. 
Un consumatore quando deve acquistare un bene o un servizio può rivolgersi a più venditori, confrontarne i prezzi e scegliere chi vende al prezzo minore, a parità  di qualità . I venditori diminuendo i prezzi possono aumentare le vendite e i profitti. In questo modo la concorrenza, se i venditori sono numerosi, conduce il settore vicino all’efficienza. Un consumatore che intenda servirsi di un taxi, ne incontra spesso uno solo e non è in grado di compararne la tariffa con quella di altri taxi. Il tassista ha convenienza a chiedere al consumatore il prezzo maggiore che questi è disposto a pagare, perché chiedere un prezzo inferiore non gli procura alcun vantaggio. Nei casi in cui il consumatore può scegliere fra più taxi, in aree allo scopo attrezzate, i tassisti sono in numero limitato, scoprono subito che la concorrenza non è vantaggiosa e si accordano per fissare la tariffa maggiore possibile. 
Il caso migliore per il consumatore si ha quando esistono più società  di tassisti fra le quali può scegliere per telefono; qui qualche forma di concorrenza può esistere, ma solo se il mercato è abbastanza ampio; di solito, però, anche in questi casi si forma un prezzo che è il risultato di un accordo fra le società  più grandi. Tutto questo spiega perché, molto spesso, le tariffe dei taxi sono fissate dalle autorità  locali (in Italia dai Comuni) e perché, dove le tariffe sono state liberalizzate, esse sono a volte aumentate (come in alcuni stati degli Usa fra il 1980 e il 1990).
In Italia, le tariffe sono ora fissate vicino al prezzo di monopolio, ma il numero limitato di licenze le rende alte in confronto ad un’ipotetica situazione nella quale un monopolista potesse decidere il numero dei taxi. 
Un intervento basato sull’aumento del numero delle licenze e sullo sfruttamento delle economie di scala (più turni sulla stessa auto, piccole imprese con due taxi), causerebbe una diminuzione dei ricavi per turno di lavoro, con le stesse tariffe. Le associazioni dei tassisti avrebbero allora convenienza ad accettarne una diminuzione, per ottenere un possibile incremento più che proporzionale della domanda e un aumento dei guadagni, ma è presumibile che le tariffe rimarrebbero lontane dall’efficienza. 
Le licenze per l’esercizio di un taxi sono scambiate in un mercato, anche se non riconosciuto dalla legge, ad un prezzo elevato: 175.000 euro in questo momento a Milano (cfr. Corriere della sera, 11 gennaio 2012). La somma necessaria per l’acquisto è ottenuta con prestiti da parenti e mutui bancari. Supponendo che la licenza sia rivendibile in futuro allo stesso prezzo e considerando, a titolo di esempio, un tasso d’interesse del 5% come remunerazione del capitale anticipato per la licenza, questo significa un costo annuo aggiuntivo di esercizio per il tassista di 8.750 euro. 
La riforma del settore causerebbe una riduzione del reddito netto il quale in gran parte è reddito da lavoro. Questo spiega l’opposizione dei tassisti alla «liberalizzazione» del settore. Una riforma può avvenire solo con compensazioni per i tassisti (si tratta di lavoratori con un reddito medio-basso) nelle forme, ad esempio, previste dalla prima formulazione del decreto Bersani del 2006.
Per i taxi è auspicabile un intervento a livello nazionale basato su due congegni. (1) La determinazione a livello nazionale dei criteri con i quali determinare il numero di taxi e le tariffe massime, così da costringere i Comuni a regolare il mercato quando è necessario. (2) La possibilità  di organizzare a livello locale società  di taxi a capitale pubblico (come in Svezia), le quali coprano, ad esempio, il dieci per cento del settore, e operino nel comparto delle prenotazioni telefoniche, con tariffe determinate dal costo unitario del servizio. Ciò avrebbe un effetto di calmiere sui prezzi, anche se nelle aree attrezzate e nelle contrattazioni individuali la concorrenza resterebbe irrealizzabile.
*Professore di Economia politica all’università  Cà  Foscari di Venezia


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