Reintegrato l’uomo che voleva far pagare le multe sul latte

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ROMA — Da ieri il fantasma del Conte di Montecristo, nei panni di Dario Fruscio, si aggira nei corridoi dell’Agea. Il professore calabrese, un tempo il commercialista più amato da Umberto Bossi, era stato collocato nel 2010 alla presidenza dell’agenzia governativa che manovra cinque miliardi l’anno di contributi agli agricoltori dalla Lega Nord, partito che fino a quel momento controllava con Luca Zaia un ministero (l’Agricoltura) chiave per le ambizioni elettorali del Carroccio. Poi però aveva fatto un errore imperdonabile. Ovvero, si era messo in testa di far pagare agli allevatori che avevano sforato le quote latte le multe appioppateci da Bruxelles. Esattamente il contrario di quello che forse si aspettavano da lui. L’ira dei Cobas lo investì. Lui allargò le braccia: «È la legge», disse. Ma Bossi scelse i Cobas. «La Lega non vi ha dimenticati», promise loro sul pratone di Pontida. Tre giorni dopo dal ministero dell’Agricoltura, passato in mano al responsabile siciliano Francesco Saverio Romano, partì il siluro. L’Agea fu commissariata e Fruscio defenestrato. Il professore fece ricorso. E l’11 gennaio il Tar del Lazio l’ha accolto, annullando il commissariamento. 
Per impedire ora che il commissario Mario Iannelli faccia le valigie, Palazzo Chigi può solo impugnare la sentenza al consiglio di Stato. Altrimenti, «Edmond Dantès» Fruscio e i vecchi consiglieri torneranno al loro posto. Dove troveranno non poche novità . Perché in sei mesi l’agenzia è stata rivoltata come un calzino. A cominciare dalla direzione generale, dov’è arrivato Giancarlo Nanni, soppiantando al vertice operativo il braccio destro di Fruscio, Alberto Migliorini. E poi la Sin: Sistema informativo nazionale per l’agricoltura. È una società  controllata dall’Agea (51%) e da un gruppo di aziende private (49%) che ha il compito di gestire i pagamenti agli agricoltori. Chi sono questi privati? Il 20% è di Almaviva, che fa capo alla famiglia del signore dei call center Alberto Tripi. Il resto è spezzettato fra Coop, Ibm, Finmeccanica e altri ancora. 
Ancora prima che scoppi il caso quote latte, Fruscio solleva proprio quello della Sin. Per lui la società  non fa bene il suo lavoro. Decide così di tagliare il corrispettivo annuale di spettanza dei privati da 80 a 50 milioni. E non finisce lì. Nel maggio del 2011 il presidente arriva a minacciare la rescissione del contratto. Ma pochi giorni dopo lo cacciano. 
Sparito Fruscio, la Sin viene trasformata da srl in spa. Il presidente Francesco Baldarelli, considerato vicino all’ex ministro ulivista Paolo De Castro, si salva. Ma il consiglio viene azzerato e rifatto con l’innesto di nuovi elementi: come l’ex assessore della Provincia di Ragusa Concetta Vindigni, candidata alle Europee 2009 nell’Udc con il futuro ministro Romano. Insieme, con un costo di mezzo milione l’anno in più, si cambia tutto anche in un’altra società  del gruppo. Al posto dell’amministratore unico si insedia all’Agecontrol un consiglio di amministrazione. Presidente Massimo Dell’Utri, avvocato che nel 2003 si era invano candidato con il centrodestra alla Provincia di Caltanissetta. 
Non bastasse, con il governo di Mario Monti ecco un’altra sorpresina. Targata Mario Catania, il successore di Romano. Nel decreto «salva Italia», con cui aumentano le tasse e si chiede il sangue ai pensionati, spuntano 40 milioni per l’Agea. Destinazione: Sin. Ma se ne accorgono solo gli interessati. La norma che prevede quel grazioso regalo è scritta infatti così: «L’autorizzazione di spesa di cui al decreto legislativo 27 maggio 1999, n.165, come determinata dalla tabella C della legge 12 novembre 2011, n. 183, è incrementata di 40 milioni di euro per l’anno 2012». E questa sarebbe trasparenza?


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