La stella del Tea Party si schiera «Romney la nostra speranza»

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MYRTLE BEACH (South Carolina) — La guerra intestina che lacera il campo repubblicano preoccupa Nikki Haley. Gli attacchi populisti di Newt Gingrich e Rick Perry contro il favorito Mitt Romney, accusato di essere un «capitalista rapace», provocano lo sdegno della governatrice del South Carolina, prossimo e decisivo teatro della battaglia per la nomination conservatrice. «Abbiamo un vero problema — dice al Corriere — se alcuni repubblicani parlano come democratici. Noi crediamo nel libero mercato e siamo tenuti a difenderlo».
Nikki Haley è il talismano sul quale Romney ha concentrato buona parte delle speranze di vincere le primarie nel primo Stato del Sud, terreno tradizionalmente sfavorevole ai moderati, culla del Tea Party, dove il 60% degli elettori repubblicani si considera «rinato» o comunque cristiano evangelico.
La sua è la favola di una moderna Cenerentola politica, la figlia di immigrati del Punjab, diventata a 39 anni la più giovane governatrice d’America, ma soprattutto la prima indiano-americana a guidare lo Stato che in nome della segregazione razziale diede inizio alla secessione e alla Guerra civile. Alta, elegante, una gran massa di capelli corvini e un bel sorriso sempre a illuminarle il viso, Nikki Haley è nata infatti Nimrata Nikki Randahawa e ha vissuto personalmente molte umiliazioni legate alla sua origine. Ma la sua ascesa, insieme a quella del governatore della Louisiana Bob Jindal, è emblematica di una nuova generazione di leader politici che racconta i grandi passi avanti compiuti dal Sud degli Stati Uniti: «Anche se la mia famiglia e io personalmente siamo passati attraverso molte sofferenze e subito tante offese, il fatto che io sia governatrice dimostra che il South Carolina si muove nella giusta direzione, sa tener fede alle sue tradizioni e alla sua storia, ma capisce anche che bisogna andare avanti per avere successo».
Una di queste tradizioni è che la bandiera della Confederazione sudista sventola ancora sul prato della State House di Columbia, la capitale. La stessa governatrice repubblicana rende omaggio al padre nobile dello Stato, tenendo nel suo ufficio un ritratto a olio di Strom Thurmond, senatore segregazionista, per decenni una figura chiave dei repubblicani al Congresso di Washington. Quanto alla necessità  di andare avanti, Haley l’ha dimostrata schierandosi al fianco di Mitt Romney. Una scommessa molto rischiosa, per lei che è stata eletta con l’appoggio decisivo del Tea Party e che ora si ritrova a fronteggiare l’accusa di aver tradito la causa, scegliendo un candidato centrista.
«Romney — ci spiega — ha dimostrato di essere un leader calmo e determinato, di conoscere i problemi, soprattutto quelli economici e di offrire una visione radicalmente diversa da quella di Obama». Quanto al dubbio che sia l’ex governatore del Massachusetts il miglior candidato possibile del lotto repubblicano, Haley obietta che «non esiste il candidato perfetto». Tutti i contendenti repubblicani hanno delle qualità , «ma qui si tratta di concentrarsi sui veri temi all’ordine del giorno: lavoro, crescita, spesa. E Romney lo sta facendo meglio di tutti».
L’altra obiezione è quella sulle scarse credenziali conservatrici del favorito. Haley non ne fa un problema: «Io cerco un leader. Questo è un uomo che sa cosa farà  nei suoi primi trenta giorni. Il punto non è tanto di scegliere il candidato più conservatore, quanto di guardare a Washington, dove domina il caos prodotto da Obama, e nominare qualcuno in grado di mettere ordine. Nella sua vita, Mitt Romney ha messo a posto ogni cosa di cui si è occupato, nel pubblico, nel privato e anche nel volontariato: ha risanato imprese quasi in bancarotta; ha preso in mano un’Olimpiade ormai fallita e ne ha fatto un successo; è stato un ottimo governatore, risanando il bilancio del Massachusetts e tagliando per 19 volte le tasse, nonostante un Congresso con una maggioranza democratica di oltre due terzi. Ma soprattutto, appoggio qualcuno che non ha alcuna associazione con Washington».
Resta la mezza rivolta del Tea Party, molto radicato in South Carolina, che fra l’altro qualche problema con la governatrice sembra averlo a prescindere, visto che appena un anno dopo la trionfale elezione la sua percentuale di approvazione è scesa al 35%. «Non esiste il candidato unico del Tea Party, per cui ho grande rispetto. Il Tea Party è un movimento che si preoccupa di salvaguardare le libertà  personali e di tenere il governo quanto più possibile fuori dalla vita della gente. Non voterà  in blocco, anche perché nel movimento ci sono anche molti indipendenti e democratici. Il Tea Party chiede che chi venga eletto si ricordi sempre che è lui a lavorare per il popolo e non viceversa. Con Mitt Romney, totalmente estraneo ai giochi di Washington, può essere tranquillo che avrà  una voce».
Un altro tema controverso è quello della destra evangelica. Riuniti nel fine settimana nel ranch di un miliardario texano, i più influenti leader cristiani hanno compiuto il mezzo miracolo di schierarsi in grande maggioranza con Rick Santorum, l’ex senatore della Pennsylvania che nel Sud cerca il riscatto dopo la delusione del New Hampshire. Non è detto che il popolo di Dio segua le loro indicazioni, ma il pronunciamento è l’ultimo, disperato tentativo di sbarrare la strada a Romney, considerato inaffidabile sui temi cari agli evangelici, dal no all’aborto al rifiuto dei matrimoni gay. Saranno in grado Mitt Romney e la sua prima sostenitrice di convincere la destra religiosa? «Non mi sembra sia un tema cruciale. Non lo è stato nello Iowa e nel New Hampshire. Non lo sarà  in South Carolina».


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