Per Letta e per Monza Cosentino apre la festa

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Prima sorrisi stirati, due colpetti sulle spalle, qualche carezza di incoraggiamento e sguardi bassi. Parlottare intenso. Poi urla di gioia, abbracci, risate. Una festa in piena regola. In pieno parlamento. In piena bufera anti casta. Per il no all’arresto di Nicola Cosentino mezza camera dei deputati esibisce la gioia di un potere ritrovato, davanti ai banchi vuoti del governo dei tecnici. È orgoglio ma non è coraggio. C’è voluto il voto segreto, sono serviti tutti gli accordi inconfessabili. La politica che cercava una prova di forza ha offerto invece una dimostrazione di debolezza. Cosentino resta libero, ma deve rinunciare a guidare il partito in Campania. Una contropartita indispensabile per evitare le imboscate dei nemici interni.
Cinquanta deputati si spostano
Undici voti di scarto, 309 a 298. Diciotto assenti, la maggioranza dei quali nello schieramento favorevole al deputato berlusconiano. Un risultato che nel buio del voto segreto consente diverse letture. I sei radicali che si sono sganciati dal Pd dicendo no al carcere sono risultati decisivi. Ma la loro scelta era annunciata e fatta alla luce del sole. Sono stati soprattutto i leghisti a smentire la linea uscita dalla giunta per le autorizzazioni. E a smentire se stessi a distanza di tre giorni. Ma certo qualcun altro ha fatto quel che non ha detto.
A carte scoperto i partiti favorevoli alla richiesta della magistratura napoletana potevano contare su un centinaio di voti di margine, cinquanta deputati nel gioco del favorevole o contrario. Tanti, troppi anche secondo i grandi manovratori del Pdl che fino a pochi minuti prima della conta si mostravano rassegnati. È successo qualcosa che è sfuggito anche al calcolo dei più tenaci cacciatori di numeri, di Denis Verdini che nell’ultimo scorcio di mattinata è sembrato arrendersi al suo posto, immobile. Ecco perché l’esultanza del Pdl è sembrata una sorpresa ed è arrivata incontenibile.
È verosimile che Cosentino abbia pescato anche tra i centristi dell’Udc. E non tanto perché in Campania i due partiti sono insieme al governo quasi dappertutto, visto che lo sono l’un contro l’altro armati. È scattato al contrario un istinto di protezione, reso più urgente dalla sensazione di accerchiamento che ormai accompagna ogni deputato. Pochi minuti prima del voto, Lucio Barani, il socialista che si conquistò la fama costruendo una statua a Craxi a inchieste ancora calde, si è alzato al suo posto di deputato Pdl e ha declamato la famosa citazione di Brecht (che non è Brecht): «Prima vennero a prendere i comunisti…». I magistrati come le SS, e non a tutti è parsa eccessiva.
La moral suasion del Richelieu
Più seriamente, Cosentino deve ringraziare anche Gianni Letta. Al quale Berlusconi ha deciso di rivolgersi qualche giorno fa, quando gli è apparso chiaro che se nella Lega avesse vinto la linea Maroni sarebbe arrivata una sconfitta irreparabile. E Letta, raccontano, ha fatto quello che meglio sa fare: la moral suasion. Ha chiamato tutti i gruppi politici, anche il Pd. Lo ha fatto spiegando di avere al suo fianco Angelino Alfano. Ha messo sul piatto la salvezza del governo Monti. Ha raccomandato di prendere sul serio Berlusconi, la sua intenzione di far crollare tutto se Cosentino fosse finito in carcere. Se e quanto abbia trovato orecchie attente tra i democratici non è dato sapere con certezza. Ma non sarebbe stata una prima volta, questo è certo. Perché Nicola Cosentino, alla lunga, si è dimostrato il più amato dal centrosinistra, ben oltre le dichiarazioni di pubblico disprezzo. Perché già  due volte negli ultimi due anni la camera ha negato l’autorizzazione a procedere ai magistrati di Napoli, malgrado questi considerino l’ex coordinatore del Pdl campano il referente nazionale del clan dei casalesi. E tutte e due le volte l’aula di Montecitorio ha detto no con molti voti (segreti) arrivati dagli avversari politici di Cosentino.
Il peso di Monza e Belluno
Questa volta l’aiuto più consistente è stato quello dei leghisti. Roberto Maroni ha perso la sua battaglia, Bossi all’ultima curva si è ripreso il partito anche se lo ha fatto schierandolo nel modo più sgradito ai suoi elettori. Anche questa vittoria non avrà  un grande seguito. Maroni ha evitato di portare la sua sfida fino al fondo. Nella agitatissima riunione del gruppo parlamentare di ieri mattina non è intervenuto per contestare il voltafaccia di Bossi e la soluzione bizantina escogitata dall’anziano leader dopo l’ultima telefonata con Berlusconi. Libertà  di coscienza, con alcune istruzioni per l’uso della coscienza: l’indicazione di principio del partito restava il sì, ma solo chi era convinto fino in fondo delle ragioni dei magistrati poteva votare sì. Pochi, alla fine, sicuramente la minoranza dei 59 deputati padani. Bossi neppure è comparso in aula. E Paolini, che tre giorni fa aveva a malincuore votato contro Cosentino in giunta, è intervenuto per dieci minuti facendo a pezzi la richiesta di arresto. Poi ha detto che comunque la Lega chiedeva di accoglierla. Un bluff che secondo la strategia bossiana dovrebbe consentire alla Lega di continuare a opporsi al governo Monti senza rompere con il Pdl e blindando le alleanze al nord per le elezioni amministrative della prossima primavera. Oltre a Gianni Letta, il «principe» di Casal di Principe deve ringraziare anche il fatto che si voterà  a Belluno, a Cuneo e a Monza.


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