L’ARTICOLO 18 BIS
La guerra no, pensano di poterla evitare perché sono stati nominati salvatori dell’Italia dalla più alta carica dello Stato, benedetti da un voto bipartisan inedito, forti della paura istillata nella testa della gente che è svegliata di notte dall’incubo del default. Dunque pensano di poter infrangere ogni tabù senza doverne pagare le conseguenze.
Fatto sta che hanno messo non solo le mani ma anche i piedi nel padre di tutti i tabù, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Secondo la bozza di decreto sulle liberalizzazioni di cui il manifesto è entrato in possesso, la copertura dell’articolo 18 che garantisce al lavoratore ingiustamente licenziato il reintegro e non una mancia non riguarda più chi è occupato in aziende con oltre 15 dipendenti ma soltanto quelli che lavorano in società con più di 50 dipendenti. Basta che due o più padroncini si fondano ed ecco fatto il miracolo.
La motivazione dà il senso del modello sociale che questo governo ha in mente: mica si tratta di un attacco ai diritti, spiegano nelle motivazioni, è solo un incentivo per ridurre la frammentazione del nostro sistema produttivo. Morale: quel che a noi interessa è la produttività e l’efficienza del sistema produttivo italiano. La soggettività del lavoratore, la sua sicurezza, la sua dignità non sono argomento di interesse e di legiferazione. Non cambia niente, dicono ancora nelle motivazioni con una frase evidenziata da chi ha la coscienza sporca, è solo una razionalizzazione, un incentivo alla crescita. Peccato chi chi ha scritto il “18 bis” non è lo stesso che scrive le motivazioni, e infatti c’è un errore: il secondo parla di aziende che, sommate tra di loro, occupino più di 30, e non 50, dipendenti. Non sarà che, fatta una bozza di decreto, hanno già definito il punto di mediazione possibile con i sindacati?
Se sull’articolo 18 non è passato Berlusconi, travolto da tre milioni di persone al Circo Massimo, perché dovremmo far passare il professore?
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