Il Sud dell’europa in mani tedesche

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Dodici anni dopo il lancio dell’Unione monetaria europea (Ume), la storia è purtroppo un’altra. L’Ume naviga in acque turbolente e il capitano Merkozy ha puntato la prua su certi scogli pericolosi che potrebbero segnare la fine di una lunga e pacifica navigazione.
Considerare la Germania un modello e trascurare nel dibattito l’essenza del problema – la politica economica tedesca – è l’errore più grande e la vera ragione per la quale l’Europa si sta suicidando economicamente, invece di affrontare il problema alla radice. Dalla fine di Bretton Woods, la politica economica tedesca si è basata su due pilastri incompatibili con una unione monetaria: la concorrenza tra i paesi e il monetarismo. In una unione monetaria, i paesi mirano ad armonizzare i tassi d’inflazione e sono pronti a sacrificare le politiche monetarie nazionali, mentre per conquistare nuove quote di mercato un paese come la Germania deve invece fare in modo che i costi e i prezzi dei principali partner commerciali non siano competitivi. Inoltre, una unione monetaria tra paesi già  altamente integrati diventa un’economia alquanto chiusa e non può fare a meno di strumenti come una politica monetaria interna per mantenere stimolata la crescita. Il monetarismo tedesco richiede invece l’opposto, ossia l’assenza di qualsivoglia azione discrezionale da parte delle banche centrali e poggia soltanto sulla flessibilità  dei prezzi e dei salari in particolare. I politici tedeschi hanno esercitato fin dall’inizio dell’Ume una forte pressione sui sindacati per garantire alla Germania un vantaggio competitivo. La Germania ha così accumulato enormi surplus mentre il Sud dell’Europa e la Francia registrano i deficit complementari.
Attenendosi strettamente alla tradizione monetarista tedesca, la Bce ha vantato un target per l’inflazione del 2%, trascurando il fatto che esso rispondeva a una sua duplice violazione: se in Germania l’inflazione non fosse rimasta notevolmente al di sotto, quella dei paesi del Sud dell’Europa non sarebbe stata compatibile con un 2%. Il disastroso risultato è che il Sud dell’Europa ha continuano a perdere quote di mercato senza riuscire a vendicare l’attacco tedesco con successo. Per ricollocarsi vantaggiosamente nei mercati a questi paesi occorrerebbero anni di salari in calo, una opzione politicamente insostenibile. Anche un tour de force politico sarà  inutile fino a quando la Germania bloccherà  le misure di aiuto. E finché l’economia dell’Ume nel suo insieme non si riprenderà  con forza, i paesi con deficit continueranno registrare deficit delle partite correnti e non potranno ridurre i deficit di bilancio. Servirebbe un intervento diretto della Bce che abbassasse i tassi e degli eurobond come misura ponte fino al ristabilimento della competitività  dei paesi con deficit, misure tutte che però si scontrano con l’ostacolo della politica economica tedesca.
Non c’è una soluzione all’attuale crisi finché qualcuno non metterà  efficacemente in discussione la coerenza della strategia della politica economica tedesca rispetto alla logica di una unione monetaria. La nave del capitano Merkozy si avvicina agli scogli a velocità  sostenuta. 
*Direttore del Dipartimento strategie per lo sviluppo della globalizzazione dell’Unctad
(Traduzione di Guiomar Parada)


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