Pompei, dopo la lava il diluvio dell’incuria

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NAPOLI – Il 2011 per il sito archeologico di Pompei si è chiuso con il cedimento uno dei pilastri del pergolato esterno della Casa di Loreio Tiburtino, il 2012 invece è cominciato con 23 assunzioni: 12 architetti, 11 archeologi e un amministrativo. «È solo un primo passo – spiega Gaetano Placido, coordinatore del comparto ministeri della Cgil – visto che il personale di vigilanza, quello che tiene aperte le case ai visitatori per intenderci, è sotto organico di oltre il 50% per non parlare dei manutentori». 
Così quest’anno il sito archeologico più famoso d’Italia (2.3 milioni di visitatori nel 2010) è rimasto chiuso a Natale e il primo dell’anno e nessuno ha fatto una piega. Solo qualche anno fa successe il finimondo, si mobilitarono ministero ed enti locali tanto da costringere il sito di Pompei a aprire regolarmente i cancelli.
Nel frattempo, però, molto è cambiato. La gestione commissariale voluta dall’ex ministro Sandro Bondi è finita sotto la lente della magistratura ordinaria e quella contabile, un anno in mano ai bob cat e martelli pneumatici, con le domus affidate alle ditte edili, ha prodotto una lunga stagione di crolli. Analizzando solo gli ultimi due anni, il 6 novembre 2010 è completamente collassata la Schola Armaturarum. Il crollo interessò anche una piccola parte della parete laterale della bottega del vasaio Zosimus, adiacente alla Domus del Moralista in cui, qualche giorno dopo, venne giù un muro. Il gennaio precedente, durante il restauro della Casa dei Casti Amanti, una gru cedette facendo rovinare a terra trenta metri di muro antico, in prossimità  di via dell’Abbondanza, causando danni a resti archeologici e affreschi. Sempre lungo via dell’Abbondanza, fu rilevato un altro crollo di una parte del peristilio posteriore della Domus di Trebio Valente. 
A febbraio a venire giù era stato un pezzo di muratura della Domus degli Augustali. A ottobre 2011 è toccato a un muro paravento nell’area di Porta Nolana. Il 25 ottobre, alla vigilia della visita del commissario per gli Affari regionali dell’Europa, Johannes Hahn (argomento dell’incontro, 105 milioni di euro fondi europei Poin per il Grande progetto Pompei), collassarono due strutture moderne di contenimento a Porta Ercolano e lungo via Consolare.
«Per curare affreschi e mosaici c’era una squadra di quaranta operai specializzati e restauratori che tutti i giorni era sul campo – spiega Ciro Mariano, assistente alla fruizione e vigilanza -. Un patrimonio mandato in pensione senza sostituzione. Adesso ci ritroviamo con quattro operai e quattro restauratori, che si occupano dei pezzi in deposito. La manutenzione la fanno le ditte edili con appalti esterni, ognuno dei quali si aggira in media sui cinque, seicentomila euro. Quanto personale si potrebbe assumere con questo budget?». Ipotesi al momento stranamente non prevista. 
La Carta del rischio archeologico, aggiornata dalla Soprintendenza dopo il crollo della Schola Armaturarum, dice che il 30% del sito sarebbe in sicurezza, ma ormai si vive con un occhio al meteo: pioggia intensa o vento forte bastano a provocare nuovi smottamenti. L’investimento di 105 milioni, articolato in cinque fasi, sarebbe dovuto partire nel primo trimestre 2012, il neo ministro Lorenzo Ornaghi ha corretto la data spostando l’inizio dei lavori in autunno. 
A soffrire, però, è tutto il patrimonio campano. «Le 50 sale recentemente aperte al pubblico del Castello di Baia, nei Campi flegrei, sono visitabili perché vengono impiegati circa 26 restauratori come custodi», racconta Eduardo Tammaro. 
Non si tutelano i siti famosi e neppure le scoperte eccezionali. Rischia di finire interrato, sotto uno strato di argilla, per mancanza di fondi, un «unicum» in Europa nel campo dell’archeologia: il sito di Longola. Si tratta di un villaggio preistorico su palafitte dell’età  del Bronzo, precedente a Pompei, attribuito alla civiltà  dei Sarrastri, citata da Virgilio nell’Eneide. Scoperto nel 2000 durante lavori di costruzione di un depuratore per il fiume Sarno, sono stati trovati quasi un milione di reperti ceramici, centinaia di migliaia di reperti faunistici e persino due barche intatte, esposte alla Città  della Scienza di Napoli. Finiti i soldi per gli scavi, il 23 dicembre ha chiuso i battenti. Per evitare che le intemperie lo distruggano, si è pensato di interrarlo. La competenza è del ministero e della Soprintendenza di Napoli e Pompei, da cui si attende un intervento in extremis per salvare il sito. Va male anche a Quarto, dove giace abbandonato in via Brindisi il mausoleo detto «la Fescina», l’unico del sud Italia. Una necropoli a cuspide piramidale, su prototipo del IV secolo avanti cristo, circondato dai rifiuti. 
Copertoni, lattine, vetri, immondizia e sterpaglie impediscono l’ingresso al recinto del colombario a pianta quadrangolare, quando non lo invade l’acqua piovana che scende da un avvallamento vicino. I contadini lo hanno utilizzato come deposito degli attrezzi agricoli per anni, poi venne dato in gestione a Legambiente. Il comune lo rivolle ma, evidentemente, non sa cosa farsene.


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