Eric Cantona

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Si firma «Eric Cantona, cittadino impegnato», e scrive al quotidiano Liberation una lettera nella quale sollecita ai sindaci francesi le 500 firme necessarie a candidarsi alle elezioni presidenziali del prossimo aprile. Guadagna la prima pagina: camicia bianca appena slacciata e cravatta, barba striata di bianco, il solito volto ribaldo che gli ha regalato una carriera nel cinema e nella pubblicità  dopo avergli fatto guadagnare, da ultimo calciatore-guerriero piovuto per sbaglio nell’insulso calcio moderno, il cuore di milioni di tifosi. 
«Il mio impegno – continua Cantona nella lettera – mi obbliga a parlare più francamente del solito, ma anche con un grande senso di responsabilità  in un periodo in cui il nostro paese affronta scelte difficili che saranno decisive per il nostro futuro». Parla già  come un presidente. Dice: «Sono un cittadino attento alla nostra epoca, alle chance che offre ai più giovani: troppo limitate. Alle ingiustizie che genera: troppo numerose, troppo violente, sistematiche».
Uno degli ultimi Cantona (pronuncia «cantonà », e vale anche come sinonimo di azione diretta) che si ricordano è quello che in un’intervista rilanciata da youtube invitava tutti i cittadini a ritirare i soldi dalle banche. Zac.. Novembre 2010. «E’ facile fare la rivoluzione oggi – attaccava – il sistema si basa sul potere delle banche, e dev’essere distrutto a partire dalle banche». Ma nonostante l’interesse suscitato dalla cosa, nessuno ritirò veramente i soldi dalla banca, e a quanto pare nemmeno lui. Qui si misura la distanza tra i media e i messaggi, se vogliamo. Ma di certo Cantona non aveva torto. E neppure stavolta ha torto. 
Al centro della sua lettera, della sua pesante entrata a gamba tesa nella scia mediatica delle elezioni francesi, c’è una questione che l’ex calciatore ha cuore da tempo: il tentativo di far entrare la «crisi degli alloggi» nel dibattito tra i candidati alla presidenza francese. Non è escluso che ci riesca, in qualche modo. E’ la stessa questione posta da anni in Francia da una campagna della fondazione Abbè Pierre, e non è la prima volta che Cantona si presta a fare da testimonial. Liberation ci aggiunge il suo endorsement, anche se un portavoce della stessa fondazione ha smentito qualsiasi contatto diretto dell’ex calciatore. 
Diciassette anni sono passati da uno dei gesti più famosi e sorprendenti mai visti su un campo di calcio: la mossa di kung-fu di Eric Cantona, stella del Manchester United, contro un tifoso del Crystal Palace seduto sulla tribuna più vicina al campo, che lo insultava alla fine della partita. Lì per lì ne venne sottovalutata la portata: «Colpisce un tifoso, rischia una lunga squalifica», titolavano i giornali limitandosi a sottolineare che così si poteva dire addio allo scudetto. Ebbe otto mesi di squalifica e 20.000 sterline di multa. 
«Penso solo che per qualcuno può voler dire realizzare un sogno, dare un calcio a una persona così. Per questo l’ho fatto. E i tifosi sono stati felici, in mondo quasi fisico, speciale». Ancora qualche tempo fa, Cantona non smentiva la sua fama di calciatore capace di muoversi dentro il campo di calcio come in un teatro senza limiti, grande come il mondo. Come prima di lui forse solo Maradona e pochi altri, ma quanto più tragica, la storia di Maradona, e quanto buffonesco in senso alto il gesto di Cantona. Le cronache dicono che in questo periodo a teatro, da attore interpreta l’Ubu incatenato di Alfred Jarry che – nella dedica del suo autore – è il vecchio re «che offre l’omaggio dei suoi ceppi», libero di essere schiavo. Jarry ne sarebbe soddisfatto. 
E del resto c’era in Cantona la stessa poetica sfrontatezza nel pronunciare in una conferenza stampa a pochi giorni dal fattaccio del kung fu una frase che diceva: «Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che verranno gettate in mare delle sardine». Ce l’aveva coi giornalisti, con la stampa, con la condanna di ogni persona pubblica alla prigione della memoria e della ripetizione. Ken Loach ci ha fatto un film.
Cantona è da allora condannato alla ripetizione di quel gesto, il calciatore che dà  un calcio al tifoso stronzo. Irripetibile, effettivamente, come ogni volta che qualcuno rompe i limiti e le pareti di una rappresentazione. E per sempre anarchico, per sempre bad boy, a cominciare dal gesto del colletto alzato come una buffa corazza da guerriero: lo ripeteva in uno famoso spot della Nike, qualche anno fa. Ha detto una volta: «Sono molto orgoglioso che i tifosi cantino ancora il mio nome allo stadio, ma ho paura che un domani loro si fermino. Ho paura perché lo amo. E ogni cosa che ami, hai paura di perderla.» 
Capace di parlare per tutti con il linguaggio rude e poetico del calcio, col Manchester e col calcio inglese, Cantona ha un rapporto sempre aperto. L’unico capace di dire, in quersti ultimi anni, che il Manchester comprato dagli americani «ha perso la sua anima». Col calcio in generale: «Non sopporto chi prende il nandrolone, preferisco chi si fa di cocaina il mercoledì e il fine settimana va in campo a vincere la partita». A proposito, dopo un periodo passato a giocare a soccer beach, il calcio in spiaggia, è infine diventato direttore sportivo dei New York Cosmos, il glorioso marchio del sogno americano nel soccer, tutto pupe, stelle e rock’n’roll, ritirato fuori del dimenticatoio in questi giorni in cui il futuro è così difficile da immaginare. 
L’eventualità  che Eric Cantona diventi presidente della Repubblica francese è quotata dagli scommettori a 101.


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