Veleno dei rivali su Romney “lo sciacallo” New Hampshire, l’anti-Obama perde consensi

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MANCHESTER (New Hampshire) – Sam Mills indica con orgoglio la lavagna magnetica appesa a una parete. Il suo nome spicca in testa alla classifica dei «top callers», gli stakhanovisti delle telefonate agli elettori. «Obiettivo 14.000 per la squadra dei volontari: raggiunto!» Siamo al 361 di Elm Street, nel quartier generale di Mitt Romney a Manchester, a 24 ore dalla primaria repubblicana. Qui sta il centro di comando della propaganda elettorale, per quello che i sondaggi danno come il favorito. Ordinato, pulito, efficiente, non particolarmente frenetico. Decine di volontari seduti ai tavoli compongono numeri di telefono e leggono frasi fatte, «non restate a casa, domani l’America ha bisogno del vostro voto». La scenografia rispecchia la personalità  del candidato, «il numero uno che non piace a nessuno», il candidato «inevitabile» ma tutt’altro che entusiasmante. Anche Mills, studente universitario a Boston, reclutato per lavorare come stagista, è fatto a immagine e somiglianza del suo capo. Cosa gli piace di Romney? «La competenza. Voglio che l’America sia governata da un businessman». 
La risposta è precisa ma fredda, negli occhi azzurri del ragazzo non c’è un lampo di militanza, manca il fuoco della passione. Ne incontro tanti come lui qui a Elm Street, soprattutto i maschi giovani dello staff di Romney sembrano tutti uguali, stesso taglio di capelli (cortissimi), stesse facce da ragazzi istruiti di buona famiglia, vestiti uguali. Potrebbero essere missionari mormoni: quelli che ti bussano a casa sempre in coppie (maschili), sempre in giacca e cravatta, col blazer blu impeccabile e la camicia bianchissima appena stirata. Oppure potrebbero essere dei neolaureati di una Business School pronti per uno stage alla McKinsey. Impeccabili, organizzati, come le due facce di Romney: il padre di famiglia e sposo fedele, il multimilionario capitalista. Un poster dipinto a mano con colori sgargianti intima «Get excited Romney 2012» e per la mancanza di punteggiatura non si capisce bene a chi sia rivolto l’invito a eccitarsi: potrebbe essere allo stesso Romney perché si «scaldi» almeno un po’. Lui appare su un grande schermo, mentre qui al quartier generale si fabbricano le telefonate a ripetizione l’aspirante presidente sta parlando a un gruppo di elettori nella cittadina di Hudson: «Farò di nuovo dell’America la mèta preferita per investire, e pareggerò il bilancio eliminando ogni deficit, ve lo dico oggi nel giorno stesso in cui il rapporto debito/Pil ha raggiunto il 100%». Mentre lui parla, perfino qui nel suo quartier generale non sento elettricità  nell’aria, non c’è l’ombra di una fede carismatica, solo tanto lavoro ordinato, metodico, per portare il massimo di elettori a sostenerlo domani. Questa incapacità  di Romney di suscitare passione, perfino tra i suoi fedelissimi a tempo pieno, è un tallone d’Achille che potrebbe rivelarsi fatale a lungo andare.
A poche ore dalla primaria, i sondaggi lo danno sempre in testa ma con una pericolosa riduzione del margine di vantaggio: era partito al 45% dei consensi, le ultime stime gli danno il 35%. Guai se dovesse assottigliarsi troppo, perché il New Hampshire è di gran lunga il terreno più facile per lui: siamo vicini al Massachusetts di cui Romney fu governatore, siamo nel cuore del New England progressista dove l’elettorato repubblicano è moderato. Manchester non ha il carburante di base del populismo: qui il tasso di disoccupazione è molto più basso (5%) della media nazionale (8,5%), questa città  di centomila abitanti che fu la culla storica dell’industria tessile americana, ha saputo riconvertirsi alle tecnologie avanzate e con 11 università  è un polo di eccellenza. Eppure i suoi rivali sentono che anche qui Romney è tutt’altro che invincibile. Ieri lo hanno colpito da più parti sulle sue credenziali di imprenditore.
«Quando era capo della società  Bain Capital – ha detto Newt Gingrich in un talkshow della Nbc – la specialità  era saccheggiare le imprese, licenziare i dipendenti, e intascare milioni di dollari. Io sono per il capitalismo, ma se uno ti mette in bancarotta per svuotare la tua azienda, questo non è capitalismo sano». La stessa accusa di «sciacallaggio» gli viene rivolta in una massiccia campagna di spot televisivi finanziata da un magnate dei casinò, amico di Gingrich. Jon Huntsman ha aggiunto che «a Romney piace licenziare la gente, non ha contatto con la realtà  economica degli americani». Stasera sapremo se questi attacchi gli sono costati cari, di certo stanno fornendo materiale ai democratici.


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