“Cosentino deve andare in carcere”

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NAPOLI – Sullo sfondo, «intrecci ricattatori» e «debiti di gratitudine» derivanti dai «rapporti criminali che hanno agevolato la carriera politica dell’onorevole Cosentino». Al centro, «un’operazione di riciclaggio di capitali sporchi da manuale». E la pericolosa intermediazione tra interessi di camorra ed investimenti a sei zeri «per i quali Cosentino ha speso la sua persona». Ecco perché il deputato e leader Pdl in Campania Nicola Cosentino, secondo il Tribunale del Riesame di Napoli, deve andare in carcere. Il politico, «già  di per sé brillante uomo d’affari e profondo conoscitore della realtà  casalese», era «pienamente consapevole» dei disegni che si dipanavano intorno al progetto da 45 milioni del megacentro commerciale “Il Principe”, che doveva sorgere nel paese di Gomorra, poi mandato in fumo dalle grane giudiziarie del politico. 

Sono nette e durissime le argomentazioni con le quali il Riesame di Napoli (presidente ed estensore Nicola Quatrano, giudici Mariarosaria Orditura e Francesca Pandolfi) ha confermato, alla vigilia di Natale, l’ordinanza di custodia per Cosentino. Quelle 182 pagine di motivazioni, depositate alla Camera, rischiano di abbattersi nelle prossime ore come l’ultima scure al crocevia politico di Cosentino. Sul suo capo pende dunque la (seconda) richiesta d’arresto. Domani è fissato il voto della giunta per le autorizzazioni. Giovedì, si vota alla Camera. Così le vacanze di Cosentino sono trascorse nell’incessante filo diretto con Roma, tramite il fidato Denis Verdini, nell’impervio tentativo di compattare a suo favore i voti di un Pdl lacerato e di almeno una parte della Lega.
IL “CONTENITORE” 
Cosentino è accusato di riciclaggio, falso, corruzione, violazione di norme bancarie, aggravati dal favoreggiamento del clan dei casalesi, con 54 persone tra cui funzionari di banca, tecnici comunali e un ex sindaco di Casale, Cipriano Cristiano. Bersaglio del bltiz è il progetto del mega centro “Il Principe”, che ruota intorno alla Vian, la società  degli indagati Corvino e Di Caterino che ha «capitale sociale ridicolo e certificazioni fittizie». Il giudice Quatrano sottolinea che a Cosentino «sono contestati i suoi interventi in fasi cruciali dell’iter: finanziamento bancario e autorizzazioni amministrative. Un progetto nel quale sono stati impiegati capitali dell’associazione mafiosa dei casalesi», per «costruire un contenitore apparentemente pulito dove poter investire ulteriori capitali mafiosi». E ancora: «Secondo quanto riferito dal consulente del pm, l’operazione corrisponde ad un esempio da manuale di riciclaggio di denaro sporco».
“COSA DI COSENTINO”
Soffermandosi sul grande imbroglio della società  Vian e sugli incontri di Cosentino con i funzionari Unicredit, Quatrano poi sottolinea la «totale inattendibilità  e artificiosità  dei bilanci» delle società  che si apprestavano a ricevere finanziamenti grazie all’intermediazione del politico. Scrive: «È ragionevole ritenere che Cosentino avesse contezza di tale situazione e piena consapevolezza dell’impossibilità  per Vian di ottenere il finanziamento da 5,5 milioni, in relazione al quale ha invece speso la sua persona». Inoltre, sostiene ancora il Riesame, «che l’iniziativa economico-criminale fosse non solo sponsorizzata ma “cosa” di Cosentino lo afferma l’ex sindaco Cristiano in un’intercettazione del giugno 2006. “Noi dopo dobbiamo dire che questo è un fatto di Nicola…Nicola Cosentino, lo conosci?”»
GLI INTRECCI COL CLAN
Il Riesame ritiene dunque fondato l’intero impianto che porta la firma del procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho, con i pm Antonio Ardituro, Francesco Curcio, Henry John Woodcock e Cesare Sirignano, considera «sussistenti» le esigenze di custodia. Per Quatrano, «anche da questa indagine risulta il consolidamento e la continuità  dei rapporti criminali che hanno agevolato Cosentino nella sua carriera politica; la pluralità  di competizioni elettorali in cui risulta essere stato sostenuto dall’organizzazione criminale; la persistenza del debito di gratitudine (e gli inevitabili intrecci ricattatori) cui egli deve, almeno in parte, le sue fortune».


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