Viaggio nella nuova mafia, un’azienda mai in crisi
«Quando si tratta di mafia è sempre dura». Quella frase che un esperto avvocato sussurrò nei corridoi del processo alla Camorra di Raffaele Cutolo, a metà degli anni ’80, ad un giovane assistente, è stata la molla che ha spinto Serena Danna, giornalista del Sole 24Ore, a scrivere questo libro. Quel giovane avvocato era suo padre, e per confermare che con la mafia è dura, bastano i dati riportati nel libro Prodotto Interno Mafia edito da Einaudi Stile libero (pagg. 164, euro 16): 140 miliardi di euro di fatturato all’anno, un sommerso che vale il 15% del Pil, delineando così il potere economico-finanziario della criminalità organizzata italiana in grado di fare sistema da sé e condizionare lo sviluppo di ampi territori del Paese, soprattutto nei momenti di crisi economica come quello attuale.
Una realtà anti-stato che sa però essere un altro Stato, con un proprio prodotto interno lordo, le proprie leggi, i propri uomini di rappresentanza qui e nel mondo. Una piovra che ora è “glocal”, ancor più pericolosa perché coniuga computer e santini, legami di sangue atavici e scaltrezza nel business, insomma una miscela tra arcaico e futuro: dall’Aspromonte a Wall Street, sentendosi ugualmente nel proprio habitat.
È quanto emerge dalle cinque interviste in cui è strutturato il volume, ad altrettanti protagonisti che la piovra l’hanno vista, toccata, combattuta, analizzata. Scorrendo le risposte dei magistrati Pietro Grasso e Nicola Gratteri, dell’imprenditore Ivan Lo Bello, del vescovo Domenico Mogavero e dell’economista Moisès Naìm, sale un certo pessimismo. «È ormai consolidato un connubio tra mafia, potere economico-finanziario e potere politico, così la mafia colloquia con le istituzioni» dice Grasso a capo della Procura nazionale antimafia; «In Italia ci sono quattro mafie, anche se abbiamo la legislazione più avanzata in questo campo, non ci sarà mai proporzione con la potenza dei poteri criminali» sottolinea Gratteri, procuratore a Reggio Calabria ed esperto di ‘ndrangheta. Lo Bello, a capo di Confindustria siciliana ha decretato da anni l’espulsione degli associati che pagano il pizzo. «Ma per molti settori della politica siamo visti come dei pericolosi rivoluzionari, capaci di influenzare e modificare equilibri consolidati e funzionali» dice l’imprenditore. Resta solo l’ottimismo della volontà : «Quando si tratta di mafia è sempre dura, diceva l’avvocato Dall’Ora. Imparare a conoscerla è il primo passo per sconfiggerla una volta per tutte» conclude la Danna.
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