Pd, sì al contratto prevalente Ma non si tocca l’articolo 18
Disboscare la giungla di tipologie contrattuali oggi esistenti dando vita a un contratto d’inserimento che può durare da un minimo di sei mesi a un massimo di tre anni, senza toccare l’articolo 18. È con questa proposta che il Pd andrà al confronto con il governo, quando la discussione sulla riforma del mercato del lavoro entrerà nel vivo.
Pier Luigi Bersani segue con attenzione la partita che si è aperta tra ministero del Welfare e parti sociali. Il leader dei Democratici evita di commentare le indiscrezioni giornalistiche su ipotesi governative di riforma che nascono e muoiono nell’arco di ventiquattr’ore e ha chiesto ai dirigenti del suo partito di fare altrettanto. Però ha pianificato una road map ben precisa per rendere chiaro qual è “la” posizione del Pd, che a tempo debito verrà sostenuta in Parlamento. Il primo passo è la convocazione del Forum lavoro, che giovedì si riunisce nella sala Berlinguer di Montecitorio. Il secondo è l’Assemblea nazionale del 20 e 21, che discuterà di mercato del lavoro e non solo, e che si chiuderà con un voto teso a precisare una volta per tutte qual è la linea del Pd: intoccabilità dell’articolo 18 e possibilità di inserire un contratto prevalente d’ingresso, no al modello flexsecurity.
LA POSIZIONE DEL PD
Di fatto, come spiega il responsabile Lavoro del partito Stefano Fassina, «non c’è niente da decidere, visto che il Pd una posizione chiara già l’ha presa all’Assemblea nazionale di Roma del maggio 2010 e poi alla Conferenza sul lavoro di Genova del giugno 2011». In entrambi gli appuntamenti sono approvati dei documenti favorevoli a riunificare il mercato del lavoro oggi diversificato in una miriade di tipologie contrattuali (un recente studio della Cgil ha individuate 46 differenti modalità di assunzione) con un contratto di apprendistato sostanzialmente unico «a garanzie crescenti» e una riduzione degli oneri contributivi per le imprese che stabilizzano.
Si tratta di un’impostazione contenuta in diverse proposte di legge presentate dal Pd, in quella depositata un anno e mezzo fa al Senato a prima firma Paolo Nerozzi (ricalca la riforma ipotizzata dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi ed è sostenuta anche da Franco Marini, oltre che da esponenti di tutte le anime del Pd) e in quelle presentate alla Camera a prima firma Cesare Damiano e Marianna Madia. In esse viene previsto un contratto d’inserimento tendenzialmente unico (sarebbero esclusi settori specifici che hanno reali esigenze di flessibilità come turismo e dell’agricoltura) che può durare da un minimo di sei mesi a un massimo di tre anni. Durante tale periodo, come hanno spiegato nei giorni scorsi su “l’Unità ” Damiano e Tiziano Treu, il lavoratore sarebbe licenziabile «ma al termine della prova va agevolata l’assunzione a tempo indeterminato, compresa la tutela dell’articolo 18».
Ichino, che pure ha firmato la proposta di legge Nerozzi e oggi rivela che diede «anche un contributo forse non secondario alla sua stesura tecnica», vede però in questo progetto «due difetti» (riguardanti la soglia dei tre anni e gli ammortizzatori sociali) risolti, scrive su “Europa”, dal suo progetto di flexsecurity. Nella proposta del senatore Pd il quale ora dice che se la soluzione da lui proposta si rivelasse «non politicamente praticabile» sarebbe «un ottimo compromesso» il progetto Boeri-Garibaldi se accompagnato dalla «sperimentazione» della flexsecurity sulla base di accordi aziendali, regionali o provinciali c’è un contratto unico per i neoassunti e un parziale superamento dell’articolo 18 (tra le giuste cause per i licenziamenti rientrerebbero i motivi economici, tecnici ed organizzativi). Il modello riceve consensi nella minoranza del Pd (dai Modem Morando e Tonini a Marino), ma è duramente contrastata dalla segreteria e dalla stragrande maggioranza del partito. Come Bersani vuol far emergere dai prossimi appuntamenti in cui si discuterà la questione.
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