Euro, una nave inguidabile
C’è da chiedersi se le persone installate ai posti di comando delle istituzioni più importanti siano davvero all’altezza del compito. Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), nonché ex ministro dell’economia francese, se n’è uscita ieri mattina – in Sudafrica – con una battuta degna di una turista per caso: «È improbabile che l’euro possa scomparire nel 2012».
Se voleva essere «tranquillizzante», la signora ha evidentemente sbagliato mestiere. Perché uno nella sua posizione sarebbe bene che tacesse sempre, parlando – come si dice – «tramite gli atti»; oppure negando qualsiasi ipotesi così disastrosa, anche quando è alle porte. Chi governa i destini della finanza globale, infatti, ha un potere enorme anche solo usando la parola. Può distruggere in un attimo quel che altri stanno faticosamente cercando di costruire: «la fiducia».
Più logico che lo faccia uno speculatore di mestiere come George Soros, che nelle stesse ore ammoniva su un possibile «crollo dell’euro che «porterà alla disintegrazione dell’Unione europea con conseguenze catastrofiche per l’intero sistema finanziario globale». Seminando il panico, lui ci guadagna…
Ma le dichiarazioni di chiunque sarebbero solo aria fritta, se i dati dell’economia globale fossero un po’ migliori. E invece si accavallano notizie ben poco rassicuranti, come quelli sulla disoccupazione nell’Europa a 27 – ferma al 10,3% (era al 10 un anno prima) – o nella zona euro (è aumentata dello 0,2 in un anno). Ma stiamo parlando di 23,674 milioni di persone nel primo caso e di 16,372 nell’altro. Non di numeretti. Negli Usa la situazione è migliorata a dicembre, con la creazione di oltre 200.000 posti nel mese; ma c’è il fondato sospetto che si tratti di un fuoco di paglia legato alle festività e al consueto boom delle vendite natalizie.
Dalla Germania arriva invece un dato «strutturale» pesante: gli ordinativi industriali – le «commesse» che permettono alle imprese manifatturiere di programmare il lavoro per i prossimi mesi – sono crollate del 4,8%. È il calo più brusco dal gennaio 2009, in piena «prima fase» della crisi, a soli quatto mesi dal falimento di Lehmann Brothers. Soprattutto, rappresenta una mazzata per larga parte dell’industria continentale, in buona misura trasformata in «contoterzista» della manifattura tedesca. I fabbricanti di singoli componenti destinati alla Germania, insomma, subiranno a breve una contrazione proporzionale o quasi degli ordinativi da lì provenienti. Il Nordest italiano o i «lumbard» tra i primi.
Nel frattempo è stato battuto un altro record: quello delle somme depositate dalle banche continentali presso la Bce. 455,2 miliardi, che vengono «congelati» a un tasso quasi nullo, pur di non rischiarli in impieghi incerti. Il meccanismo è doppiamente distorcente. Le banche, infatti, hanno ricevuto un mare di liquidità dalla stessa Bce a tassi convenientissimi (l’1%), nella speranza che gli istituti europei la usassero per acquistare titoli di stato dei paesi «meno brillanti» e, allo stesso tempo, per i prestiti alle imprese dell’economia «reale». L’intento era esplicito: tener bassi i rendimenti dei titoli pubblici e fornire un po’ di ossigeno all’economia. Niente di tutto questo: i soldi restano in banca. Anzi: tornano nelle casseforti della Bce.
Un bel po’ di colpa ce l’ha l’Eba (European Banking Authority), che da un lato ha elevato al 9% la quota di capitale proprio che le banche debbono «tenere a riserva» in caso di problemi improvvisi; dall’altro ha classificato «tossici» i titoli di stato dei paesi Piigs, ma non i «derivati» emessi dal mercato privato. Risultato: le banche di Italia, Grecia, Spagna, ecc, non prestano più un euro nemmeno ai propri colleghi. Figuriamoci a imprese e privati cittadini.
È questo un passo avanti decisivo verso il «credit crunch», il blocco del credito che ferma l’economia. Al tempo stesso, il «rigore di bilancio» cui vengono obbligati tutti gli stati rafforza la corrente nella stessa direzione recessiva. Ancora ieri la Commissione Ue ha annunciato che presto partiranno le «procedure di infrazione» contro cinque paesi che hanno un rapporto debito/Pil troppo alto. Per Ungheria, Malta, Polonia, Belgio e Cipro rischia di farsi notte presto.
Le borse ne hanno preso atto a metà giornata. Milano – che era riuscita a sfiorare un +2% – è precipitata a -1 in poche decine di minuti. lo stesso è accaduto per altre piazze europee. Lo spread tra i titoli decennali italiani e i Bund tedeschi è tornato vicino ai 530 punti, anche se sulle scadenza brevi gli scarti di rendimento si sono quasi dimezzati.
Diventa insomma sempre più chiaro che il problema non è quel che hanno fatto i singoli paesi fin qui, ma la debolezza dell’intera struttura monetaria europea. Costruita seguendo i manuali liberisti, per cui la crisi è «un errore» commesso da qualcuno, non un fenomeno tipico del capitalismo. Costruita quindi come una nave che viaggerà sempre in acque tranquille, ingestibile quando il mare gira a tempesta. 23 MILIONI DI DISOCCUPATI nell’Unione a 27. Il tasso di disoccupazione si è attestato dunque al 10,3% (era al 10% un anno fa). Nella zona euro i senza lavoro sono circa 16 milioni di persone.
HANNO DETTO
DAVID CAMERON ha ribadito il suo no al nuovo trattato europeo e ha ammonito i firmatari «a non prendere decisioni che riguardano mercato unico e competitività : non si può avere un trattato fuori dell’Ue che inizia a fare ciò che andrebbe fatto dentro l’Unione». LA DIRETTRICE DEL FMI, Christine Lagarde si è lanciata ieri in una dichiarazione a dir poco sibillina: «È improbabile che l’euro sparirà nel 2012, i partner europei hanno affermato la loro determinazione a mantenere la Grecia nella moneta unica». «ALL’EUROPA SERVE una vera banca centrale, ha detto ieri il ministro Corrado Passera: «Dobbiamo completare l’architettura della moneta unica con tutti i meccanismi di governance che ancora mancano per garantire la piena stabilità dell’euro».
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