Damasco, entrano in scena le bombe
DAMASCO – Un nuovo attentato suicida ha sconvolto ieri la capitale siriana – come due settimane fa. Secondo la Tv di stato, verso le 11 un kamikaze si è fatto esplodere nel quartiere di Midan. Almeno 26 le vittime, e 63 i feriti. Non è ancora chiaro quale fosse l’obiettivo dell’attentatore, se una sede della polizia o dei servizi segreti o una scuola. La Tv ha mostrato immagini di resti di corpi, di un bus e di auto danneggiate.
Secondo l’agenzia di stato Sana, il ministro dell’interno ibrahim al-Shaar ha affermato che le modalità dei due attentati, quello del 23 dicembre e quello di ieri, sono simili perché il fine è quello di fare vittime civili, e sarebbero entrambi opera di al Qaeda. Il ministro Shaar ha parlato di una «escalation terrorista», e ha dichiarato che il governo «risponderà con il pugno di ferro a chi vuole giocare con la sicurezza del paese e dei suoi cittadini».
Secondo gli oppositori invece dietro il nuovo attentato ci sarebbe sempre il regime, con i suoi servizi segreti, il cui fine sarebbe dimostrare l’azione di bande di terroristi e creare terrore tra la popolazione per giustificare la propria autorità .
Midan è un quartiere centrale, da mesi teatro di proteste contro il regime. Anche ieri, venerdì, era prevista una manifestazione all’uscita delle moschee dopo la preghiera. Il sito «Syrian revolution 2011», uno dei motori della rivolta su internet, aveva invitato a manifestare con la richiesta di «internazionalizzare la causa» chiedendo una «no-fly zone». E in effetti dimostrazioni si sono svolte in numerose località tra cui Homs, Hama, Daraa, Deir Al Zoor, Idlib: secondo gli attivisti sono almeno 24 i manifestanti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza.
La presenza degli osservatori della Lega Araba, nel paese dal 22 dicembre per verficare l’attuazione del protocollo siglato il 2 novembre, non è riuscita a fermare la violenza, come ammesso dallo stesso segretario della Lega Araba Nabil al Arabi. Gli oppositori accusano gli osservatori di essere «manovrati dal regime».
Riad Asaad, a capo dell’Esercito Libero Siriano, un raggruppamento di disertori con base in Turchia che afferma di raggiungere i 25.000 effettivi, ha chiesto alla Lega Araba di ammettere il fallimento della missione e ha ventilato nuove azioni armate.
All’interno del fronte del variegato fronte delle opposizioni aumentano le voci, anche tra i manifestanti, che chiedono un intervento straniero attraverso la creazione di una no-fly zone e di corridori umanitari.
Domenica i ministri degli esteri della Lega Araba valuteranno il primo rapporto degli osservatori – atteso appunto per il finesettimana – e come proseguire. Nabil al Arabi ieri ha dichiarato che gli osservatori hanno ora di fronte una missione «più grande di quella che gli era stata affidata», senza però specificare. E ha chiesto al leader di Hamas Khaled Meshaal, la cui organizzazione ha ancora formalmente sede in Siria, di convogliare un messaggio al governo siriano perché lavori «con onestà , trasparenza e credibilità per la fine delle violenze», ì ha annunciato lo stesso al Arabi dopo aver incontrato Meshaal in visita al Cairo. e il leader di Hamas, la cui organizzazione sembra in realtà in procinto di mollare l’alleato, ha risposto di lavorare per una soluzione politica che eviti spargimento di sangue.
Nel pomeriggio di ieri, come accade ormai ogni venerdì in città , le strade erano poco frequentate e c’erano diversi posti di blocco e deviazioni, soprattutto in corrispondenza delle zone delle proteste. Le connessioni internet non hanno funzionato per qualche ora. Ma gli abitanti di Damasco, dopo oltre nove mesi di proteste, sembrano quasi abituati a questo ritmo di vita. Il venerdì di solito si sta in casa, si esce nel tardo pomeriggio «così sarà più tranquillo». Ma è visibilmente aumentato il sentimento di paura e di insicurezza. «Sfortunatamente sta avvenendo quello che ci aspettavamo» racconta Amer, un giovane oppositore di Damasco: «Il regime ha risposto alle proteste nell’unico modo che conosce: la violenza. C’è da aspettarsi che la situazione peggiori, ci saranno ancora più morti, più arresti e più esplosioni».
Gli attentati sembrano aver aperto una nuova, pericolosa fase della crisi siriana, destinata a diventare sempre più internazionalizzata e militarizzata.
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