Obama taglia la Difesa: “Finita l’era delle guerre”

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NEW YORK – Barack Obama rimpicciolisce il Pentagono. Si taglia tutto, senza pietà , salvo nel Pacifico (leggi: Cina) e nel Golfo Persico dove incombe la minaccia dell’Iran. Il presidente annuncia la maxi-austerità  nella spesa militare con una inusuale visita al Pentagono. «Si volta pagina – annuncia di persona ai vertici della Difesa – si chiude un decennio di guerre. Ci sbarazzeremo dei residui della guerra fredda, per garantire la sicurezza ci basteranno delle forze su scala ridotta». E’ l’inizio di una nuova èra, e il conto dell’austerity è drastico: ben 480 miliardi di dollari di tagli, sia pure spalmati su un decennio. Solo nei confronti del rivale cinese Obama preferisce non abbassare la guardia. «Nel Pacifico la presenza americana non sarà  ridimensionata, anzi la rafforzerò». Lo stesso vale per lo stretto di Hormuz. Sempre per tenere conto della sfida cinese, è su nuovi tipi di armamenti che il Pentagono dovrà  puntare sotto la guida di Leon Panetta: sistemi anti-missili, e cyber-scudi contro la pirateria informatica (più volte gli hacker cinesi sono penetrati nei sistemi informatici di Washington). La svolta strategica di Obama ha un risvolto di politica interna: è uno schiaffo ai repubblicani in piena campagna elettorale, visto che la destra è tradizionalmente più legata alla lobby industrial-militare. Ma è una tattica abile che Obama usa per inserire un cuneo in due contraddizioni: da una parte c’è il “rigorismo” dei repubblicani che vogliono presentarsi agli elettori come il partito della lotta ai deficit salvo proteggere le “vacche sacre” come il Pentagono; dall’altro all’interno della destra c’è il “fenomeno” Ron Paul, il candidato che ha preso il 21% dei voti al caucus dell’Iowa e crea imbarazzo tra i repubblicani con un programma di smobilitazione totale della presenza militare Usa nel mondo. Obama non arriva a tanto, però il suo piano equivale a una riduzione dell’8% nel bilancio del Pentagono. A più breve scadenza, nel prossimo quinquennio i tagli in cantiere valgono 260 miliardi. L’obiettivo va ben oltre il “dividendo della pace”, supera i risparmi che Obama incassa per avere mantenuto fin qui le sue promesse sul ritiro dall’Iraq e (presto) dall’Afghanistan. Se si aggiunge la smobilitazione delle truppe da quei due fronti, già  nel 2013 la spesa sarà  tornata ai livelli del 2007, scendendo in soli due anni da 530 miliardi a 472, tornando così a una dimensione “pre-11 settembre”. Ma sul tavolo c’è molto di più. Obama ha già  messo in moto un meccanismo per cui, se al Congresso non sarà  trovata una riduzione bipartisan sui tagli al deficit pubblico in generale, scatteranno automaticamente tagli ulteriori: in tal caso la riduzione del budget militare potrebbe arrivare fino a 1.000 miliardi in dieci anni, il 17% in meno dai livelli attuali. I democratici sono convinti che sia fattibile, perché tagli di questa misura avvennero dopo la fine delle guerre in Corea e Vietnam. L’operazione più difficile è la distribuzione dei sacrifici. Ridurre da 11 a 10 il numero di portaerei – un’opzione che era allo studio – può indebolire la presenza nel Pacifico o nel Golfo Persico proprio mentre si rafforza la Cina e s’inaspriscono le minacce dall’Iran; perciò questo risparmio è stato accantonato. Ridurre le truppe totali da 570.000 a 483.000 significa riportarle a un livello che era giudicato sufficiente prima dell’11 settembre, ma si è rivelato inadeguato qualora l’America combatta due guerre simultaneamente. Uno dei programmi controversi è l’acquisto di 2.500 cacciabombardieri F-35, per un costo di 400 miliardi, spalmato da qui al 2035: è ormai certo che il loro numero sarà  ridotto; non così tanto però da costringere la Lockheed Martin a chiudere intere fabbriche. Per dimostrare che non esistono “caste intoccabili”, il Pentagono ha già  mandato a casa 27 fra generali e ammiragli negli ultimi 10 mesi, e conta di arrivare a quota 102.


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