Ichino&Co: la riforma va fatta Si prepara la «resa dei Monti»

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Dopo i ‘consigli’ del segretario Pd al governo sull’imminente riforma del lavoro, ieri hanno battuto un colpo i veltroniani coté demoliberista di Enrico Morando. Un editoriale su Qdr, giornale online d’area (l’acronimo di ‘Qualcosa di riformista’ non aiuta a districarsi nella selva correntizia Pd dove tutti si definiscono riformisti) regala un applauso preventivo alla ministra del Lavoro Elsa Fornero, benché la riforma su cui stanno lavorando i suoi tecnici non prometta niente di buono. Fornero «ha le idee chiare: vuole rendere più efficiente il mercato del lavoro e spostare risorse dalla previdenza all’assistenza», si legge. «Ha in testa un disegno organico». E comunque «le riforme vanno fatte perché è giusto ed utile farle, non perché servono a farci risparmiare quattrini. Anzi, dato che l’obiettivo è farla finita con il regime di apartheid in cui sono relegati milioni di italiani, i cosiddetti giovani, di risorse ne servono di più, non di meno». 
LO SCONTRO SUI LICENZIAMENTI
L’allusione è alla riforma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. «Impotabile» per la maggioranza del partito democratico. E invece persino auspicabile per la minoranza interna, seguace dell’attivismo teorico del professor Pietro Ichino. Che ieri ha battuto un altro colpo, dalle colonne del Futurista, l’house organ dei finiani, e non a caso, visto che la proposta di Fli è molto vicina alla sua: «Esistono tecniche di protezione diverse, penso a quelle sperimentate nei paesi scandinavi che garantiscono la libertà , la sicurezza e la dignità  dei lavoratori dipendenti meglio dell’art. 18. E che, soprattutto, non generano dualismo di tutele nel tessuto produttivo, come invece lo genera l’articolo 18». Sul Sole 24 Ore, sempre ieri, il professore si è dichiarato poi convinto del fatto che la riforma (sottinteso la sua, una delle ben tre proposte che i parlamentari Pd hanno depositato in aula) «sembra ormai più che matura sia sul piano tecnico che su quello politico».
Sarà  anche matura nel paese (ma a giudicare dall’annuncio di lotte da parte dei sindacati non sembra), il fatto è che la riforma del mercato del lavoro, per come la sta incardinando il governo, non sembra per niente «matura» dentro il Pd. 
PRIMA O POI L’ASSEMBLEA ARRIVA
Visto che il posizionamento in aula del Pd sulla riforma non riserverà  grandi sorprese neanche questa volta, quello dei veltroniani e delle minoranze interne (va ricordato che su questi temi anche l’area di Ignazio Marino apprezza le teorie di Ichino) ha l’aria di un posizionamento interno in vista dell’assemblea nazionale più volte slittata e ora calendarizzata per il 20 e il 21 gennaio. 
In pieno dibattito sulla riforma. Le differenze interne sono pesanti. E saranno acuite dall’appoggio illimitato che darà  in aula il Pdl (alle prese dal canto suo con un terremoto interno) ai provvedimenti sul lavoro per scongiurare quelli, annunciati, sulle liberalizzazioni. 
Al momento per il Pd quell’assemblea si preannuncia come il luogo di una prima resa dei conti interna. La maggioranza bersaniana ostenta tranquillità . «In quella sede discuteremo e si vedrà  se esiste una posizione maggioritaria diversa da quella che il partito ha già  assunto. Di certo non è possibile avere tre linee, sarebbe da irresponsabili», è la sfida di Matteo Orfini, dalemiano della segreteria, dell’area ‘giovani turchi’ collocati a sinistra del segretario. 
MA BERSANI INVITA I SUOI A STARE ZITTI
Il segretario in questo momento preferirebbe però meno sfide e meno dichiarazioni «sui temi sensibili» da parte del gruppo dirigente. Lo ha fatto sapere ai suoi, con il caldo invito ad evitare di esibire troppo le divisioni interne. E le distanze crescenti con il governo.
Così ieri l’ex ministro Cesare Damiano, che aveva pesantemente criticato la ministra Fornero per la scelta di incontrare i sindacati per tavoli separati, ha dichiarato chiusa la polemica con l’avvio dei confronti. E il «vecchio leone» Franco Marini ha lanciato una ciambella di salvataggio al segretario, e insieme un messaggio a Monti: spiegando, su Europa, che il Pd è unito sul contratto unico (la proposta Nerozzi-Boeri-Garibaldi) «su due fasi: i primi tre anni diventano un lungo periodo di prova nel corso del quale l’impresa conosce il lavoratore ed è più motivata a formarlo. Dopo i tre anni non è più consentito il licenziamento se non per giusta causa». 
Monti è pregato di partire da qui, se non vuole mandare in tilt il secondo partito della sua maggioranza. O, come dice Orfini, se non vuole «andare a sbattere». È quello, certo con altre parole, che Bersani dirà  allo stesso Monti sabato, a Reggio Emilia, dove si incontreranno durante i festeggiamenti per la nascita del Tricolore: che non è bene fare le riforme cercando di dividere i sindacati; che è meglio inaugurare la «fase due» con le liberalizzazioni, per evitare di rimettere subito, e di nuovo – dopo la durissima manovra – i lavoratori nel mirino.


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