Missile da crociera iraniano Tensione alle stelle nel Golfo

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Qader, possente. Nour, luce. Nasr, vittoria. Sono i missili lanciati ieri dalla Repubblica islamica nello Stretto di Hormuz, nell’ultimo dei 10 giorni di esercitazioni navali. La tv iraniana ha mostrato i vettori alzarsi verso il cielo, mentre la voce dello speaker assicurava che i primi due sono in grado di colpire obiettivi «a centinaia di chilometri di distanza». 
Il Qader e il Nour sono stati definiti missili «a lungo raggio» dal vicecomandante della marina Mahmoud Mousavi, anche se alcuni esperti occidentali li considerano a medio raggio. Secondo l’agenzia iraniana Fars, il Qader è una versione migliorata di un missile anti-nave di produzione iraniana con gittata di 200 chilometri in uso da settembre; anche del Nour si stima un raggio simile, sulla base del C-802 cinese da cui deriva. Potrebbero comunque costituire una minaccia per alcune forze americane nel Golfo: l’Iran dista 225 chilometri dal Bahrein, dove è basata la V flotta Usa, circa 1.000 invece da Israele. Il Nasr ha una gittata di 30 km, mentre il giorno prima Teheran aveva testato un altro missile a medio raggio.
«Abbiamo condotto le esercitazioni per far sapere a tutti che il potere di difesa e deterrenza dell’Iran in mare aperto e nello Stretto di Hormuz mira a proteggere i nostri confini, le nostre risorse e la nostra nazione», ha spiegato il capo della Marina Habibollah Sayyari. Ma l’ufficiale ha precisato che non c’è alcuna intenzione di chiudere subito lo Stretto, come minacciato la scorsa settimana in caso di embargo dell’Occidente contro le esportazioni di petrolio: «L’ordine non è stato dato. Ma siamo pronti per vari scenari». Gli avvertimenti di Teheran hanno già  portato a un aumento del prezzo del petrolio, e il messaggio all’Occidente è di riflettere sul costo economico delle sue azioni.
Un costo che ricadrebbe certo anche sull’Iran, che ricava oltre 70 miliardi di dollari l’anno dalle esportazioni di greggio, senza contare il rischio di un intervento militare (la V Flotta ha avvertito che non tollererà  l’interruzione del traffico marittimo). La perdita di valore del rial (che ha registrato un calo del 12% nel cambio con il dollaro in meno di 24 ore) e l’inflazione alle stelle indicano le difficoltà  economiche del Paese, ma il presidente Ahmadinejad ha comunque minimizzato il peso delle nuove sanzioni Usa imposte a Capodanno contro la Banca centrale, «un istituto abbastanza forte da difendersi dai piani del nemico». Ahmadinejad si prepara a un tour in America Latina (Venezuela ed Ecuador, dove il Paese ha investito in joint venture, Cuba e Nicaragua) e punta ancora una volta sulle alleanze oltre-Atlantico per alleviare la morsa delle nuove misure restrittive. 
E’ una sorta di gioco a chi rischia di più. Mentre negli Usa, i candidati alla nomination repubblicana fanno a gara nel minacciare l’Iran (Santorum si dice pronto a «bombardarlo se necessario», Michele Bachmann se eletta «ordinerebbe l’embargo e dispiegherebbe i missili»), l’amministrazione Obama che ha approvato le nuove sanzioni (entreranno in vigore tra sei mesi) dovrà  valutare come applicarle senza causare ulteriori aumenti del prezzo del greggio e pressioni sugli alleati che lo importano (il quarto è l’Italia, dopo Cina, India e Giappone). Israele ha minimizzato ieri il potere navale dell’avversario, insistendo che si continui sulla strada delle sanzioni «accompagnate da una credibile opzione militare come misura estrema». Ai paesi del Golfo, che pure commerciano attraverso lo Stretto di Hormuz, il capo della Marina iraniana promette «pace e amicizia». Ma il Centro studi strategici degli Emirati Arabi esprime preoccupazione: pur credendo che l’Occidente miri a ridurre anziché bloccare le esportazioni iraniane, teme «effetti dannosi sull’intera economia globale». L’Europa dovrà  decidere a fine mese se applicare un embargo: la Francia, favorevole a nuove sanzioni, ha definito i test iraniani «un segnale molto negativo».


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