Le vie segrete dell’oro nero l’emiro dietro gli ultrà  islamici

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DOHA. «Scatenate il vostro potenziale». Lo slogan dell’onnipresente Qatar Foundation, longa manus economica e culturale dell’emirato arabo, ti accoglie ovunque nella capitale Doha. Intanto il Qatar ha scatenato il suo, di potenziale. Un flusso di denaro enorme, grazie a petrolio e gas, che rendono i suoi pochi cittadini i più ricchi del mondo. Dal lungomare che chiude la sabbia del Golfo Persico in una «cornice» di grattacieli, Doha guarda alla Primavera araba e all’Occidente con un intreccio di interessi e influenza, che arriva dall’Afghanistan fino alle banlieu parigine. Con un solo obiettivo: diventare una grande potenza nel mondo arabo attraverso finanziamenti massicci agli islamisti (salafiti, Fratelli musulmani, Hamas, persino i Taliban), che hanno raccolto l’eredità  dei dittatori caduti. Petrodollari e diplomazia li respiri appena ti avvicini a Education City, il cuore delle attività  della Fondazione, che ospita un centro congressi inaugurato a dicembre con due eventi scelti non a caso: il World Petroleum Congress e il Forum dell’alleanza delle civiltà  dell’Onu. Con 177mila metri cubi e una facciata di tubi di acciaio tra pietre e prato artificiale, rappresenta un albero sul deserto. E indica quello che il Qatar vuole diventare: un gigante con i piedi ben saldi sulle sue ricchezze e rami protesi in tutto il mondo. L’emiro Al Thani ha cominciato la sua scalata a metà  Anni Novanta. Il primo mattone è stato Al Jazeera, oggi influente in tutto il Medio Oriente. Ma nell’ultimo anno con la Primavera araba ha alzato il tiro, approfittando della sonnolenta politica estera saudita, condotta da una leadership ultraottantenne, che deve affrontare anche tensioni interne. Il Qatar ha appoggiato da subito i ribelli in Libia ed Egitto. Anche perché tentavano di scalzare leader «laici» come Gheddafi e Mubarak, mai benvisti in un Paese dove vige la sharia. E che in passato avevano indirizzato attacchi, irriverenti, all’emiro. Gheddafi lo sfotteva per la sua stazza, Mubarak aveva definito il suo Paese «una scatola di fiammiferi». Ma quanti soldi ci sono nella scatola di fiammiferi? Tanti. Riserve per 25 miliardi di barili di greggio. E 77 milioni di tonnellate all’anno di gas liquido, un quarto dei consumi europei. Ricchezze che garantiscono 70 miliardi di avanzo di bilancio. Una bella base per guardare oltre i propri confini. L’emiro ha sistemato i potenziali conflitti interni concedendo un aumento del 60 per cento ai dipendenti statali, e fissando per il 2013 un round di elezioni (tanto il Parlamento ha solo potere consultivo). Poi ha messo nel mirino le rivolte arabe. La Libia innanzitutto. Già  a febbraio Gheddafi tuonava contro Al Jazeera. A Doha è stata ospitata una tv dei ribelli. E dopo la guerra mediatica, l’emiro ha portato in Libia la guerra vera. Armi ai ribelli, poi un intervento militare sul campo. Ma le mire del Qatar non si sono fermate alla caduta del raìs. Tanto che l’ambasciatore all’Onu della nuova Libia se n’è apertamente lamentato: «Vogliono dominarci». Poi l’Egitto. Per la ricostruzione del dopo Mubarak, Al Thani ha subito messo sul piatto 500 milioni di dollari e ha promesso dieci miliardi. Ma il Qatar non fa beneficenza e ha un’agenda chiara. All’emiro, sunnita wahabita, viene attribuito il sogno di un panarabismo sotto l’Islam radicale. Da anni ospita attivisti islamici in esilio e sostiene Hamas (irritando l’alleato americano). Ci sono voci, persino sulla stampa qatariota (controllata dall’emiro), dell’imminente apertura di un’ambasciata dei Taliban a Doha. In questo quadro rientrano anche i 20 milioni, almeno, entrati in Egitto per la campagna elettorale dei salafiti. Poi l’Occidente. In Qatar c’è la più grande base militare americana dell’area, proprio di fronte all’Iran. Ma con Teheran i rapporti sono ottimi, cementati anche da un maxi giacimento di gas. Tanto grande che nell’accordo per la base c’è la garanzia che non verrà  mai preso di mira dagli aerei americani. E la Francia: investimenti massicci dal calcio fino a 50 milioni di euro per le banlieue di Parigi. Il Qatar vuole un posto al sole e vuole fare affari. «Un primo risultato c’è già  – spiega Abdullah Antepli, islamista turco della Duke University, relatore al Forum Onu di metà  dicembre – l’equilibrio si è spostato. Nei Paesi della Primavera araba non si guarda più all’Europa ma ai Paesi del Golfo. Gli islamisti puntano sulla lotta alla corruzione. Agli europei viene rinfacciato di aver curato per decenni solo i propri interessi. E il simbolo di tutto questo è stato il baciamano di Berlusconi a Gheddafi. Ma non abbiate paura degli islamisti, sapranno stemperare l’estremismo. Come in Turchia, dove oggi governa chi anni fa voleva la Sharia». Una tendenza alla moderazione, però, che è ancora un’incognita.


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