Lo show business dei ritocchi sui grandi capolavori

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Come giustamente affermava Giovanni Urbani, indimenticato quanto inascoltato direttore dell’Istituto Centrale del Restauro dal 1973 al 1983 – anno in cui si dimise in aperta polemica con la burocrazia ministeriale, cui aveva predicato invano la necessità  di realizzare un sistema di conservazione programmata basato sulla prevenzione e sulla manutenzione – il restauro è un invasivo e irreversibile intervento chirurgico, che andrebbe effettuato solo quando non c’è proprio altra via per salvare la vita del “paziente”. 
Questo insegnamento ancora attualissimo cozzava e cozza, però, contro la pressione di quanti vedono nel miracolismo aureolato di scientificità  dell’intervento “che fa tornare l’opera al suo primitivo splendore”, come recita immancabilmente a ogni fine restauro il coro estasiato dei comunicati stampa, un ghiotto affare, in cui circola un monte di quattrini e si ricava un profittevole “ritorno d’immagine”. 
Di qui il trionfo del restauro spettacolarizzato, che naturalmente – poiché occorrono i grandi nomi per far girare l’ingranaggio, come nelle mostre-evento – si accanisce, in barba a ogni priorità , sempre e soltanto sui “soliti noti”. E tra questi, Leonardo è il “paziente” più ambito, seguito a una corta incollatura, come si dice al Palio, da Michelangelo, Caravaggio e Raffaello. 
A nulla è valsa la nebulosa e complicata vicenda del restauro del Cenacolo milanese, pur condotto con tempi biblici, precipitose interruzioni e raddoppiata cautela dall’esperta Pinin Brambilla, con risultati peraltro piuttosto controversi. Leonardo è e resta al centro di tutte le brame, comprese quelle di un volenteroso ingegnere biomedico, pronto a sforacchiare un affresco vasariano che fa parte di un contesto decorativo straordinario, anche perché conservatosi intatto in Palazzo Vecchio, pur di provare a scovare (ahinoi, quasi certamente sulla parete sbagliata) il fantasma della leonardesca Battaglia d’Anghiari. 
Preoccupa, pertanto, il restauro che si va compiendo su uno dei capolavori più tardi e delicati di Leonardo, un’opera da sempre un po’ evanescente anche perché lasciata incompiuta dal maestro. Né rassicurano le solenni dichiarazioni di prudenza rilasciate da Vincent Pomarède se, come sembra, sono contestate dall’ex direttore del Département des peintures del Louvre Jean-Pierre Cuzin, di cui ben conosco e apprezzo la grande competenza.


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