Quell’Uno per Mille sui Titoli Italiani che fa Guadagnare le Grandi Banche

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Ma a differenza per esempio dei mille miliardi annunciati per il fondo salvataggi europeo, e mai visti, quei duecento milioni sono veri.
È il piatto sul quale le grandi banche hanno potuto concludere forti guadagni, da agosto a fine dicembre, grazie alla fuga dei compratori dal debito italiano. Più precisamente, è il margine che gli istituti possono realizzare sulla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto di un titolo del Tesoro a dieci anni. Ogni obbligazione e ogni azione ha infatti sempre due prezzi: il primo è definito «lettera», il secondo «danaro»; forse perché così si faceva alla Borsa di Bruges nel ‘500, «lettera» è il prezzo richiesto dal venditore di un bond, «danaro» è quello offerto dall’acquirente.
In un mercato nel quale i compratori iniziano a sparire, e che dunque diventa meno liquido, la differenza fra domanda e offerta si dilata. Anche qui si crea uno spread — fra prezzo dei compratori e prezzo dei venditori — e nel caso dei titoli decennali del debito italiano questo spread da agosto è cresciuto fino a un punto-base. Si tratta di un uno per mille, uno scarto decisamente alto per un mercato profondo, liquido e diffuso in tutto il mondo come quello del debito italiano.
È grazie a questo spread fra domanda e offerta che si crea un’enorme opportunità  di guadagno per le banche che trattano i Btp all’ingrosso. Uno per mille può apparire poco, ma non sulle quantità  del debito pubblico di Roma. Sulla piattaforma dei titoli di Stato Mts passano ogni settimana Btp decennali per circa dieci miliardi; da inizio agosto, quando la crisi è entrata nella sua fase acuta, sono passati di mano su Mts titoli di quel tipo per circa 200 miliardi di euro e tutti sempre con attaccato quello spread dell’uno per mille. Al netto di altre commissioni, fa un margine d’intermediazione appunto di circa duecento milioni di euro.
Non sempre tutte le grandi banche si trovano dalla parte giusta dello scambio, a volte nel gioco fra lettera e denaro avranno anche perso. Ma quelle in posizione migliore per realizzare profitti in una nicchia del genere sono senz’altro tutte presenti nell’elenco degli specialisti del Tesoro. Questi ultimi sono i circa venti istituti che comprano il debito italiano direttamente alle aste e lo rivendono ai loro clienti: fra questi solo Imi (Intesa Sanpaolo), Mts e in parte Hypovereisbank (Unicredit) sono italiane; le altre sono tutte straniere. Dal 2007 non c’è una banca italiana come prima specialista del Tesoro e la classifica è dominata da Barclays, Deutsche Bank, Société Générale, Citigroup, Jp Morgan.
Questi grandi gruppi verosimilmente non concludono patti segreti o complotti per tenere largo lo spreaddomanda-offerta sul debito di Roma. Semplicemente, portano liquidità  sul debito italiano ma tirano profitti anche dal fatto che essa ormai è un quinto o un sesto di ciò che era. Le banche estere aiutano il Tesoro; ma, grazie a quell’invisibile uno per mille, non hanno la stessa fretta di tanti italiani di vedere la luce in fondo al tunnel.


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