La super flessibilità ha una fretta bestiale
Questa cosa della fretta mette i brividi, soprattutto alla Cgil che sulla «riforma» delle pensioni ha già sperimentato cosa intende Monti quando invoca «una certa rapidità ». Il presidente del Consiglio ha anche annunciato, bontà sua, che comunque ci sarà un dialogo e una contrattazione con le parti sociali.
Insomma, la materia è incandescente e il presidente del Consiglio per ora si è limitato ad enumerare qualche dichiarazione di intenti, lodevole solo per chi fa ancora finta di non capire. Proposte concrete, poche. Ma alcuni punti sono piuttosto chiari. La polpetta avvelenata che il governo sta cucinando per le parti sociali ha due ingredienti fondamentali: i giovani (è per loro che il governo dei banchieri starebbe lavorando) e la flessibità (come se non ce ne fosse abbastanza). La filosofia enunciata dal governo è sempre la stessa, si invoca più precarietà per produrre più occupazione, come dice da anni il senatore del Pd Pietro Ichino, quando è evidente che accadrà – anzi sta già accadendo – il contrario: altrimenti, già adesso, dato l’alto tasso di precarietà del lavoro, l’Italia si troverebbe in una fase di piena occupazione giovanile.
Invece Monti ieri è riuscito a dire che il governo tenderà «a favorire il lavoro non precario per i giovani» e contemporaneamente ad annunciare che «la flessibilità sarà essenziale». Una specie di miracolo italiano. La contraddizione del Monti-pensiero appare evidente: «Credo che sia importante superare la precarietà , ma non superare il fatto che nel mondo di oggi e soprattutto di domani un lavoro stabile e a lungo termine facendo lo stesso mestiere e nella stessa azienda sarà sempre più raro ed elementi mobilità e flessibilità saranno essenziali. Non è precariato, ma adeguamento al mondo moderno. Dobbiamo arrivare a formule contrattuali che favoriscano l’ingresso dei giovani». Naturalmente il tutto sarebbe all’insegna dell’equità .
Alcuni «fronti aperti» sono già delineati. Fare uno «sforzo intenso» sul fronte della concorrenza e delle liberalizzazioni. Superare – e qui entrerebbe in scena il ministro Fornero – «il profondo dualismo del mercato del lavoro italiano con effetti negativi in termini di equità ed efficienza» (traduzione: giovani poco garantiti vs vecchi troppo garantiti). Inoltre, «le prestazioni di sostegno al reddito ai lavoratori che abbiano perso l’impiego dovrebbero essere tali da incentivarne il reimpiego». Traduzione: non più ammortizzatori a babbo morto, una buona idea, se non fosse che il mercato del lavoro non sembra più in grado di garantire un impiego alle persone licenziate.
Mario Monti, per indorare la pillola, forse pensando ai mal di pancia del Pd, almeno ha promesso l’impegno del governo a risolvere le situazioni di criticità come quelle dei lavoratori che per effetto della «sua» riforma pensionistica si troverebbero senza lavoro (e senza pensione) come nel caso dei lavoratori posti in mobilità : «C’è il massimo impegno per affrontare tutte queste discussioni». Infine, il presidente del Consiglio, azzardando un paragone un po’ fantasioso, ha sottolineato il fatto che il tema delle liberalizzazioni e quello del mercato del lavoro devono andare a braccetto: «Tra le due materie c’è complementarietà politica». La grande sfida, secondo Monti, è diventare un paese più competitivo con un welfare meno costoso. «Ci si ispira – ha concluso – ai paesi nordici: l’Italia non è la Danimarca ma è interessante andare a guardare come viene combinata la sicurezza e la flessibilità in quei paesi e noi stiamo andando in questa direzione».
I sindacati cosa dicono? Per ora stanno sul chi va là . La Cgil, per prima cosa, non vuol sentir parlare di fretta. Inoltre, la confederazione di Susanna Camusso ha un altra scaletta di priorità da sottoporre al confronto: «Lotta alla precarietà , provvedimenti per favorire l’occupazione giovanile e femminile, e la riforma degli ammortizzatori sociali, visto che ci troviamo di fronte a una stagione molto difficile». E non siamo la Danimarca.
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