Militant Reggae, cantastorie nel ghetto
Seduti sul divanetto del backstage al Rising Love, un localino underground della capitale, in occasione di una serata organizzata per una raccolta fondi da devolvere all’Aquila, nasce l’idea di far scrivere a Stefano Bettini, più noto come il Generale, un racconto della sua esperienza di artista militante, di cantante avvezzo a muoversi tra le pieghe del circuito dell’autoproduzione fiorentina. Il Generale parte da lontano per arrivare a spiegare il concepimento del suo ultimo lavoro, Veterano Vibrante, un disco rigorosamente in italiano, autoprodotto, quasi un eponimo. «Firenze, 1985 … scoppia la febbre delle dancehall in stile giamaicano, discoteche itineranti e artigianali che raccontano, nell’isola, storie di ordinaria povertà nei ghetti. A quell’epoca risalgono le mie prime collaborazioni con Mama Africa, la prima posse a promuovere musica giamaicana in zona. E tanti nomignoli presi proprio per scimmiottare i giamaicani: Papa Leo, Crucial Youth, Wally Dread, Natty Gad, … e il Generale. Un nome brutto a ripensarlo col senno del poi, più che altro per i rimandi altisonanti e belligeranti, che poi mi sono tenuto perché ormai tutti mi conoscevano con questo nome. Del resto, a quei tempi era più uno sfottò. Come con Capitan Kibi: lui prendeva per i fondelli me, io rispondevo per le rime, e ci si divertiva così, prendendo in giro prima di tutto noi stessi. Un cazzeggio che ha portato ad uno stile inedito in Italia, il raggamuffin (in)italiano allora circoscritto ad un giro di amici. Il 1985 è l’anno del mio viaggio in Giamaica, dove imperversava il celeberrimo riddim, Sleng Teng, al ritorno ci avevo fatto sopra San Marco Skanking dove parlavo di storie di vita quotidiana, citando i luoghi e chiamando gli amici per nome: ‘c’erano il Damasceni, l’Imbarazzi e Il Giulio Dei ed erano in San Marco …’. Raccontare storie è l’essenza del DJ style. Avevo sentito alcuni toaster/dj giamaicani fare pezzi sull’amico big belly (cioè panciuto) o sull’uragano Gilbert, io volevo fare la stessa cosa, sui ritmi giamaicani ma in italiano. Per di più mi veniva piuttosto naturale; in quegli anni suonavo da diverso tempo con gli I Refuse It!. Musica molto dura, sostanzialmente hardcore ma assai fuori anche dagli schemi dell’hardcore punx. Eravamo ancora immersi in quella straordinaria esperienza che fu il punk italiano dei primi ’80, nella sua incarnazione toscana: il Gdhc (granducato hardcore) e in quel contesto avevo sviluppato idee chiare sul cantare in italiano e sull’autoproduzione. Ben presto ci ritrovammo catapultati in un’altra storia importante: quella delle cosiddette posse italiane. Ma ciò che ai tempi del punk era una sorta di missione, che facevi perché credevi nell’attitudine, divenne a quel punto anche una questione di confronto con il mercato discografico. Sandro e Pippo della Belfagor dettero vita alla Wide Records, distributore ed etichetta indipendente che pubblicò (fra le altre cose) il Generale.
Gli anni dal ’90 al ’94 sono stati pieni di contraddizioni ma fondamentali a vari livelli: primo di tutto la sempre più crescente consapevolezza che era importante fare reggae (e ovviamente il rap) in italiano, un ulteriore passo di autonomia dagli omologhi giamaicani da cui avevamo ripreso lo stile e le influenze! Sono ancora profondamente punk nell’animo, perciò fondamentalmente ho il desiderio di comunicare ciò che penso. E così ancora oggi che viviamo praticamente in un altro mondo cerco di trovare delle strade alternative per portare avanti il mio discorso; ora che si vive immersi in una rete virtuale, in un mondo in cui tutto viaggia in internet, anch’io che non mi trovo mio agio nei social network mi sono dovuto aprire un profilo Facebook.
Ho scelto di percorrere la via dell’azionariato popolare (sull’esempio delle esperienze di microcredito in Senegal..) in modo tale da avere i soldi per poter stampare i mie dischi, per pagare la siae e fare tutto il resto. Mille Modi uscito nel 2009 e Veterano Vibrante, il mio ultimo disco sono stati realizzati con il contributo di un numero di amici e sostenitori che hanno scelto di acquistare in anticipo i cd divenendone così produttori esecutivi (per Veterano Vibrante ho cercato anche gruppi di «investitori», poi ricambiati con la presenza di un loro logo nel cd). Come si suol dire ho fatto di necessità virtù, ma mi auguro che possa indicare una strada a giovani artisti o a chi vuole fare musica indipendente. L’ultimo album è frutto della collaborazione con un gruppo di produttori e musicisti della scena reggae italiana, dal team Bizzarri, dei Franziska, DJ Scara, Gold Cup, MarkOne, Il Lello, Quartiere Coffee, Mr. Brown e soprattutto Prince Vibe e Fede K9 del Boomker Studio di Firenze. Inoltre ho collaborato con Ultima Fase, El V & the Gardenhouse, Queen Mary, Sister E con il mio vecchio caro socio Ludus Pinsky. Come cantante reggae mi ritengo piuttosto atipico. Sono più che altro un cantastorie, uso basi raggamuffin o reggae ma credo che i miei testi possono essere apprezzati anche al di fuori del circuito reggae. Se dovessi fare un bilancio del mio lavoro, alla soglia dei 50 anni e dopo quasi trent’anni di attività artistica, posso senz’altro rivendicare una mia strada nel coniugare testi di qualità , o quantomeno una mia impronta personale, alla forza ritmica del reggae e del raggamuffin. E dire con certezza che alle vibes nostrane fatte da alcuni dei nostri migliori produttori di riddim infondo un mio personale carattere con i testi e le melodie, che compongo ricercando un modo originale e soprattutto cercando di non essere banale. Non amo fare cose ovvie o parodiare lo stile giamaicano del momento. Anche se ho un grande rispetto per la musica giamaicana, ho sempre cercato di trovare una mia via che rispecchi nell’approccio il mio vissuto di cantante italiano.
Per questo credo abbia senso solo cantare in italiano. In Veterano Vibrante esprimo il mio modo di concepire il reggae in Italia (come nel brano d’apertura, Spacco tutto su Footstep riddim «faccio il ragga perché mi piace il ritmo e poi è un modo con cui posso esprimere quel che ho dentro di me» e ancora «non credo in Dio né nel re quindi figurati te se posso andare a dir di credere in Hailé Selassie»), e propongo spunti di riflessione. Non voglio fare canzoni-slogan, ma piuttosto canzoni-manifesto del mio pensiero. Scrivo liriche su ciò che accade nel nostro Paese, è ho una mia visione sulla questione dei migranti che affogano nei nostri mari, Sangue sulla camicia verde, sugli omicidi di Stefano Cucchi o Federico Aldovrandi, Sull’abisso , sulla necessità di reagire allo spirito di questi tempi cupi . Alcuni pezzi del mio repertorio trattano in generale il tema di percorsi possibili, della via da seguire, come in Lungo una linea aperta, in cui apro a una filosofia di vita improntata sulla curiosità , sul gusto della scoperta quotidiana. L’idea viene dall’aikido un’arte giapponese, che pratico da molti anni e che ha avuto un enorme importanza nel mio percorso personale. Il pezzo a cappella sul Trota invece è un gioco, riprende la melodia di Little Boxes di Malvina Reynolds che diventa Little Bossi. Dico infine due parole sulla copertina, il mio piccolo vanto, che è opera di Snooze del gruppo rap De’canters e riprende le copertine di alcune delle mie prime produzioni, come Stupefacente del 1990 o il 12 Della parola armati realizzato nel ’93 con Jaka. I fumetti di super-eroi sono da sempre una delle mie grandi passioni e stiamo mettendo su un team per concretizzare l’idea di un fumetto di super-eroi molto particolari».
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