Acqua pubblica, ma con il trucco
C’è una terra che per prima in Italia ha visto nascere le guerre dell’acqua. Aranceti e fontanieri sono le due icone della Sicilia che affonda le radici dei conflitti attuali in un ottocento non così lontano. Acqua come simbolo del territorio, segno di un potere retto dai Gattopardi e dai Pupari, rappresentanti di quella borghesia che ha reso possibile almeno due secoli di reggenza mafiosa dell’economia dell’isola.
E così il movimento per restituire ai cittadini la gestione delle risorse idriche – sottraendola nel contempo ai giochi dei principi e dei bravi – in terra di Sicilia ha la valenza di una rivoluzione copernicana. Un sommovimento in grado di rompere le gerarchie mafiose – nel senso più ampio e storico della parola – andando a colpire quei nodi dove il potere vero si annida e si riproduce. Ma la terra di Sciascia è dove è nata l’espressione «cambiare tutto per non cambiare nulla». La storia dell’acqua pubblica va raccontata nei dettagli, nido dove normalmente si nasconde il diavolo.
Conviene partire da un’immagine, la fotografia di un palco allestito a Siracusa il 19 novembre scorso. Sindaci, esponenti della sinistra siciliana, qualche rappresentante dei movimenti per l’acqua pubblica, cittadini arrivati da tanti comuni della provincia. La punta avanzata di un movimento emerso nel 2009, che si pone l’obiettivo di togliere la gestione dell’acqua dalle mani dei privati (soprattutto la francese Veolia, che ha in mano la maggioranza delle quote del gestore regionale Sicilacqua). Dopo i primi interventi prende la parola il sindaco di un paesino poco conosciuto, Bivona, che però si è guadagnato sul campo il ruolo di apripista, di simbolo di un movimento nato dalle democrazie locali. Si chiama Giovanni Panepinto, è del Partito democratico. Non perde occasione per parlare delle sue battaglie per la difesa dell’acqua in Sicilia e sul suo sito mostra una barra di status, sotto il titolo «stiamo lottando per l’acqua pubblica». Attività arrivata al 75%. Quasi alla meta.
Le Spa del Pd
La proposta di Giovanni Panepinto è il disegno di legge preso come base nella commissione ambiente nell’Assemblea siciliana, come si legge sui resoconti stenografici. E’ dunque il testo di partenza, l’articolato di riferimento. Nel dossier ripubblicizzazione dell’acqua in discussione in Sicilia ci sono poi altre due proposte, una presentata da 130 comuni – che hanno votato prima localmente il testo – ed una terza presentata dal Forum siciliano dei movimenti acqua pubblica. Un groviglio di articoli, commi, norme, richiami, dove è facile perdere la bussola e dove è più facile che mai cadere nel «cambiare tutto per non cambiare nulla».
Il disegno di legge del sindaco del Pd Panepinto – che ricopre anche la carica di consigliere regionale – è facilmente consultabile sul suo sito. C’è un punto che la contraddistingue, rendendola differente dalle altre due: non vengono eliminate le società per azioni. Dunque i gestori “pubblici” dell’acqua – secondo quanto riportato con chiarezza all’articolo 8 – potranno continuare ad utilizzare forme societarie private, andando contro la proposta che il movimento per l’acqua da sempre promuove: nessuna Spa, solo enti di diritto pubblico. Dietro i consigli di amministrazione si celano quelle zone grigie di contatto tra le grandi società multiutility e le segreterie di partito, che mai vorrebbero lasciare l’affare del secolo ai cittadini. Una spa ha poi il vantaggio di poter essere rapidamente e facilmente ceduta ai privati, con una semplice transazione sulle azioni. E’ questo uno dei nodi centrali dello scontro in atto tra i movimenti per l’acqua pubblica e parte della sinistra, soprattutto dopo i due referendum. Una differenza che si ripropone tout-court in Sicilia.
Una manina maliziosa aveva in realtà inserito questa stessa norma anche nella proposta votata dai sindaci. «Un mero refuso», si disse nel 2010, quando il mantenimento della forma delle società per azioni all’interno del disegno di legge sulla ripubblicizzazione dell’acqua era stato pubblicamente denunciato dal movimento siciliano. Intanto, però, molti consigli comunali avevano votato il progetto sbagliato. Confusione che si infilava in un contesto opaco.
L’ombra sul sindaco
E’ un primo cittadino ingombrante Giovanni Panepinto. Lo scorso febbraio i giornali siciliani pubblicarono un’informativa dei carabinieri di Cammarata del 23 ottobre 2007. «Panepinto Giovanni ha ed ha avuto legami con esponenti di cosa nostra – scrivevano gli investigatori – ai vertici della consorteria mafiosa operante nella bassa Quisquina (zona della provincia di Agrigento, che comprende Bivona e Santo Stefano, ndr). E’ coniugato con Giovanna Raffa, figlia di Raffa Pietro, elemento di spicco della famiglia mafiosa di Alessandria della Rocca. Quest’ultimo era legato a personaggi di spicco di cosa nostra agrigentina », riporta sul suo blog il giornalista siciliano Benny Calasanzio Borsellino. Legami che il sindaco di Bivona, autore della legge sulla “ripubblicizzazione” dell’acqua ha smentito, dopo la pubblicazione del testo dell’informativa. Da allora tutto tace, nessuna conferma su eventuali indagini è arrivata dalla Dda, mentre Panepinto lega la pubblicazione della notizia sui suoi presunti collegamenti con Cosa Nostra ad un attacco alla sua «politica sull’acqua pubblica». Una versione che il palco organizzato il 19 novembre scorso da una parte del movimento siciliano – più legato alla sinistra tradizionale – ha sostanzialmente accolto.
Acqua pubblica, senza Spa
Il Forum siciliano dei movimenti per l’acqua pubblica sa che la battaglia per restituire ai cittadini l’acqua oggi gestita dai privati è lunga e difficile. Buona parte di quei sindaci che due anni fa animarono il movimento siciliano solo un mese fa hanno votato per l’affidamento delle gestioni a società per azioni in house. A capitale pubblico, ma soggetti di fatto privati, senza nessuno spazio per la partecipazione dei cittadini. Una strada contraria e opposta a quella segnata dai referendum del 12 e 13 giugno, basata sostanzialmente su una mediazione che tende a non cambiare nulla. Come ben sanno i Gattopardi. «Appare allora chiaro come sia proprio lo strumento societario a creare maggiori problemi», hanno spiegato i militanti per l’acqua pubblica in un’audizione, chiedendo all’assemblea regionale di eliminare quella norma che salva le Spa. Dettagli, particolari. Armi che bene conoscono i Gattopardi in terra di Sicilia.
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