La mano oscura della governance globale

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Sono due gli eventi che hanno ispirato la filosofia dell’eccezionalismo: gli attacchi terroristici alle Torri Gemelle del settembre 2001 pianificati da un movimento islamico fondamentalista dall’incerta identità , Al Qaeda, e la successiva risposta della «guerra contro il terrore» voluta dall’amministrazione americana guidata da George W. Bush culminata nello scacco militare in Iraq e in Afghanistan. In un esercizio filosofico sull’epoca appena trascorsa delle global wars, delle extraordinary renditions, dell’abuso delle decretazione d’urgenza e della crudele detenzione per migranti, in Chi decide? Critica della ragione eccezionalista (Ombre Corte, pp. 201, euro 19) Massimiliano Guareschi e Federico Rahola espongono i risultati di una ricerca che decostruisce il senso comune: la lotta contro il terrorismo globale non è stata il punto più avanzato di uno «stato d’eccezione permanente» poiché tale «eccezione», semplicemente, non esiste. 
Emergenza infinita
Il gesto inaugurale della ricerca, assai promettente, lascia lo spazio ad un serrato ragionamento giuridico e politico in cui viene svelata la chiave del mistero teologico che ha portato un’intera cultura critica a credere nell’esistenza di un «sovrano» assoluto (gli Stati Uniti? l’Impero? Il complesso militar-industriale?) che decide sul famoso «stato di eccezione». Sfogliando il libro questo gesto poi s’incardina in una seria argomentazione, materialistica e attenta ai rapporti di forza, sull’emergenza, cioè la condizione normale nella quale operano i poteri nello spazio pluristratificato della politica globale. 
Così facendo, Rahola e Guareschi pongono le premesse per una rigorosa critica della rivoluzione dall’alto attraverso la quale oggi la banca centrale europea impone agli esecutivi del Vecchio Continente una soluzione rovinosa contro la crisi economica. I due ricercatori dimostrano come l’autonomizzazione delle politiche monetarie dalla sfera della rappresentanza statuale (e sovra-nazionale) abbia inglobato la funzione di direzione politica della vita economica e sociale, spostando il governo di uno Stato a livello della governance, lì dove si decidono le politiche monetarie necessarie al salvataggio del capitale globale, ma non della vita delle persone.
In Italia continueranno a lungo a discutere costituzionalisti e sulle modalità  con le quali è stato nominato il governo Monti: trattasi di una «dittatura commissaria», oppure incarnazione delle prerogative del «custode della Costituzione»? Non sorprenderà  scoprire, nella lettura del libro di Guareschi e Rahola, che il conflitto non è ormai più quello che oppose il fronte schmittiano a quello kelseniano del rispetto della «norma fondamentale», cioè quella Costituzione che verrà  stravolta dall’introduzione dell’imperativo del «rigore di bilancio» imposto dall’idra a due teste, la coppia Merkel-Sarkozy: il Merkozy.
La critica alla filosofia dell’eccezionalismo, e del suo ospite indesiderato, il fantasma della sovranità  e dello Stato-Nazione, dimostra infatti che nella politica globale non c’è nulla su cui decidere, ma ci sono moltissimi attori decisionali. Applicare le norme, rispettare le regole, sfidare i dettati costituzionali, poco o nulla importa quando i confini della legalità  e della legittimità  sono stati travolti dalle politiche dell’emergenza infinita. Per funzionare, il governo dei flussi economici, come delle istituzioni politiche, non ha bisogno di una metafisica giuridica, quella dell’eccezionalismo, che ha permeato la sovranità  dello Stato-Nazione moderno e la sua crisi irreversibile.
Magia della decisione
L’affermazione di una Costituzione, oppure la sua sospensione, è solo un’illusione ottica dietro la quale si nasconde il vero problema: quale finalità  sovrintende alle scelte dei governanti? L’attuale controfigura italiana di un governo, quello dei «tecnici», è solo uno snodo – forse meno arlecchinesco di quello berlusconiano – di un dispositivo di governo multi-scalare che mescola le antiche prerogative della sovranità  con le più moderne logiche manageriali all’interno di «assemblaggi» tecnico-politici che combinano gerarchie e autorità  diverse, impegnate nello stesso progetto di governare un’emergenza continua. 
Ieri era il «pericolo terrorista», oggi è lo «spread». Ieri c’era un triste clown eletto alla presidenza del Consiglio, oggi c’è il debito pubblico. E così via, all’infinito, seguendo la più classica delle strategie della rimozione, del rinvio e dell’investimento psicotico e securitario. La terribile facilità  con la quale da anni si parla di «eccezione» che giustifica qualsiasi cosa è dovuta, spiegano Guareschi e Rahola, al fatto che questa categoria giuridica è un semplice «atto illocutorio al limite del gioco di parole», che allude ad un «significato fluttuante» che i governanti, così come tutti i parlanti (i francesi dicono «truc», gli italiani «cosa»), assegnano all’oggetto più inquietante – e in fondo desiderabile – del momento.
C’è qualcosa di sacro e misterioso in questo «atto illocutorio». E non a torto Giorgio Agamben, il cui pensiero Rahola e Guareschi sottopongono ad una critica serrata, ha indicato in esso la presenza di una dimensione magica, il mana, che attribuisce a chi pratica un’eccezione rispetto alla norma le prerogative del potere assoluto. Anche quando sembra che il potere non ce l’ha nessuno, se non gli onnipresenti e fantasmatici «mercati».
Geografie del potere
La difficoltà  di risalire al decisore di ultima istanza, o quella che impedisce di ristabilire l’efficacia di una decisione sovrana sull’economia, impone un salto nell’analisi che gli autori del libro definiscono «svolta geografica nell’analisi del potere». La critica del «monoteismo» della filosofia dell’eccezionalismo di Carl Schmitt, come anche quella messianica di Walter Benijamin (chi se non un «Dio», un «sovrano», decide sull’indecidibile?) è stata ampiamente svolta dalle punte più avanzate dei dibattito critico internazionale. Saskia Sassen, Aihwa Ong, David Harvey e molti altri hanno analizzato l’esistenza di una pluralità  di apparati che riaggregano reti, filiere, network e assemblano nella stessa governance pezzi di Stato, organizzazioni sovranazionali, Banche centrali e agenzie di rating, spesso in conflitto tra loro.
In questa geografia «multiscalare e frattalica» sfumano le distinzioni tra pubblico e privato, tra nazionalità  e sovra-nazionalità , a favore di nuove tecniche e dispositivi di controllo della mobilità , così come della stessa riproduzione della vita. Le gerarchie esistono, e sono più forti, ma sempre in corso di ridefinizione, a tutti livelli: biologici, molecolari, territoriali. L’esempio di Israele, affrontato da Guareschi e Rahola, è paradigmatico di questa situazione generale.
Quello che dunque vedremo nel prossimo anno nell’austera italietta rimpannucciata nel loden sarà  la replica della commedia di uno Stato che fa rispettare una credibilità  inesistente. Sembra ormai che la politica, ammesso che ne esista ancora una, non è più il patto, o la negoziazione dei diritti o tra poteri all’interno di un singolo Stato, ma il male minore imposto agli esecutivi dai dispositivi di governo che, come ha spiegato Etienne Balibar, sono protagonisti di una rivoluzione dall’alto.


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