Lavoratori Pubblici L’Italia ha il Record di Ultracinquantenni

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ROMA — Davanti a una riforma delle pensioni, forse necessaria ma comunque molto dura, come quella appena varata dal governo, molti si chiedono: il sistema produttivo sarà  in grado di far lavorare le persone fino a 66-70 anni? E che ripercussioni avrà  tutto ciò sulla produttività ? Non si ridurranno le possibilità  di accesso al lavoro per i giovani? Queste domande sembrano particolarmente pertinenti per il pubblico impiego, alla luce della prima «Relazione annuale al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità  dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni». Un rapporto appena licenziato dal Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) al quale la riforma Brunetta ha appunto assegnato il compito di questo monitoraggio. Nella relazione c’è una ricca parte di confronti internazionali. Spesso si ritiene che in Italia ci siano troppi dipendenti pubblici e che si spenda tanto per loro. E invece non è così: per numero e spesa siamo in linea con le medie. La vera anomalia è un’altra: abbiamo i travet più vecchi del mondo avanzato. 
Burocrazia over 50
Nella classifica dell’Ocse, l’organizzazione dei 34 Paesi più sviluppati, l’Italia figura al primo posto per percentuale di dipendenti pubblici con più di 50 anni: il 49,2% del totale nel 2009. Era il 42,6% nel 2005 e il 37,2% nel 2000. Come si vede, una forte accelerazione. Ed è ragionevole pensare che oggi, alle soglie del 2012, un impiegato pubblico su due abbia in Italia più di 50 anni. In Francia è meno di uno su tre, il 30,5% per l’esattezza. Nel Regno Unito e in Svizzera gli over 50 sono il 31,2%. In Austria il 32,5%, nei Paesi Bassi il 34,7%, in Grecia il 37,3%, in Danimarca il 38%, in Germania il 42,2%.
Il record dell’Italia, è scritto nella relazione, «deriva, in parte, dalle politiche di blocco del turnover che sono state attuate e che implicano un invecchiamento progressivo e, in parte, dalle modificazioni della normativa previdenziale, che hanno ritardato l’andata in pensione delle persone rispetto alla prassi precedente». Considerando che la fotografia scattata dall’Ocse è del 2009, cioè prima dell’aumento dell’età  di vecchiaia a 65 anni per le donne del pubblico impiego conseguente a una sentenza della Corte europea di giustizia, e prima della riforma Fornero che porta al superamento delle pensioni di anzianità , è evidente che l’invecchiamento della burocrazia italiana è destinato a subire un forte incremento.
Ammodernamento più difficile
Già  una pubblica amministrazione fatta per la metà  di ultracinquantenni comporta problemi «importanti dal punto di vista della capacità  di rapido aggiornamento e di produttività  rispetto ai diversi stimoli che vengono dalle nuove tecnologie e dall’innovazione continua», si osserva nella relazione. «Sarebbe quindi necessario — si continua — concentrarsi molto sulle politiche di formazione. Peccato che la formazione sia uno dei capitoli che è stato maggiormente oggetto di tagli e che, oggi, si riduce a un fatto residuale in moltissime amministrazioni. Il combinato disposto di queste variabili deve fare riflettere attentamente». Così come è lecito interrogarsi su come il progressivo invecchiamento dei dipendenti pubblici si concili con le manovre estive che puntavano a una riduzione degli organici.
Tagliare il personale 
o tenerlo al lavoro?
I dipendenti pubblici in Italia erano 3,2 milioni nel 2010 (Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato). Secondo i dati dell’Ocse, non sono troppi alla luce dei confronti internazionali. La percentuale degli addetti nella pubblica amministrazione sul totale degli occupati in Italia è infatti pari al 14,3% contro una media Ocse del 15% (dati 2008).
Lasciando da parte Paesi come Norvegia, Danimarca e Svezia, dove i dipendenti pubblici rappresentano tra il 26 e il 29% della forza lavoro (ma si tratta di un modello sociale diverso, dove si pagano più tasse in cambio di maggiori servizi pubblici), in Francia la percentuale è del 21,9%, nel Regno Unito del 17,4%, negli Stati Uniti del 14,6%. Ci sono però anche i Paesi Bassi (12%) e la Germania (9,6%) con una quota di lavoratori pubblici inferiore alla nostra.
In Italia il governo Berlusconi, un po’ per risparmiare e un po’ per svecchiare la pubblica amministrazione, aveva scelto la strada di ridurre l’organico. Così la manovra bis di Ferragosto prevede che le amministrazioni centrali dovranno rivedere le piante organiche entro il 31 marzo 2012 al fine di tagliare del 10% il personale.
«Si possono stimare circa 15 mila esuberi da collocare, secondo la legge, per 2 anni in mobilità  all’80% della retribuzione», dice Francesco Verbaro, docente della Scuola superiore della pubblica amministrazione. Molti di questi sarebbero andati in pensione nei prossimi due anni con le vecchie regole. Ora invece rischiano, se non ricollocati nell’ambito di altri uffici della P.a., di finire licenziati al termine della mobilità  senza aver raggiunto nel frattempo la pensione. Secondo lo stesso Verbaro, che conosce a fondo la macchina pubblica avendo ricoperto ruoli di primo piano nei ministeri della Funzione pubblica e del Lavoro, «in tutta la pubblica amministrazione, centrale e periferica, vi sono più di 300 mila esuberi, computando il personale degli enti soggetti alle norme di soppressione, razionalizzazione e gestione associata previsti dalle varie manovre del 2011. Ai quali si potrebbero aggiungere altre 200mila eccedenze considerando tutte le partecipate che dovrebbero essere investite dai processi di liberalizzazione».
Il 10% in esubero
Bisognerebbe insomma tagliare di circa il 10% tutto il personale pubblico, cominciando proprio dai lavoratori anziani che costano di più e spesso sono legati a occupazioni che hanno perso la loro ragione d’essere dopo la digitalizzazione della P.a. Si dovrebbe inoltre favorire l’ingresso di giovani capaci di sviluppare e far funzionare i servizi online. Insomma: un’amministrazione più giovane, dinamica e meno costosa, per allinearci ai migliori standard internazionali. Ma tutto questo si scontra oggettivamente con la scelta del governo di ridurre la spesa previdenziale e aumentare l’età  pensionabile. Per ora, sotto la spinta della crisi finanziaria internazionale, questa esigenza ha prevalso, mentre la pubblica amministrazione può continuare a invecchiare.


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