Rai, il governo aumenta il canone a 112 euro

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ROMA – Aumenta di 1 euro e 50 centensimi il canone della Rai. La nuova tariffa scatta dal 1° gennaio e porta il costo dell’abbonamento annuale a 112 euro. Sul sito di Viale Mazzini, nella sezione dedicata, viene già  riportata la cifra aggiornata. In realtà  manca l’ultimo via libera del ministero dello Sviluppo economico. 
L’aumento è in linea con le indicazioni fornite dal direttore generale Lorenza Lei in consiglio di amministrazione. L’azienda calcola di ricavare dall’aumento un gettito di 40 milioni, anche se il vero problema resta l’evasione. Secondo alcuni studi è la più alta d’Europa, intorno al 28-30 per cento. Nella manovra varata giovedì c’è anche una norma anti-evasori che colpisce le società . Per loro s’inverte l’onere della prova: devono prima pagare e poi eventualmente dimostrare di non usare la tv nei loro locali. Ma non era sufficiente. E con il ritocco il governo Monti va incontro alle richieste dei vertici Rai. È una boccata d’ossigeno per i conti in rosso della televisione pubblica. Ma è sempre più probabile, visto l’aiuto, che l’esecutivo si prepari a cambiare le regole di gestione di Viale Mazzini. Ossia a cancellare la legge Gasparri. Un nuovo finanziamento va anche a Radio Radicale. Nel decreto milleproroghe Palazzo Chigi ha stanziato 7 milioni per il 2012 a favore dell’emittente che trasmette – in convenzione con lo Stato – lavori parlamentari, congressi e assemblee di tutti i partiti. 
Proprio mentre il governo adegua l’abbonamento, la Lega lancia una sua campagna per non pagare il canone. La seconda obiezione fiscale dopo quella sull’Imu per gli immobili. Davide Caparini, membro della commissione di Vigilanza sulla Rai, definisce «quella della Rai una tassa iniqua socialmente e territorialmente. È un’imposta di possesso sul televisore quindi è legittimo non pagarla». Parole condannate da Giorgio Merlo (Pd) e destinate ad avere un seguito se i vertici del Carroccio seguiranno questa strada. 
Ieri è tornato a parlare, dopo la rimozione, l’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini. Al programma “Ma anche no” di La7 ha annunciato che «potrebbe tornare a dirigere il telegiornale». Minzolini spiega che contro di lui «è stata applicata una legge valida per i dipendenti pubblici in caso di rinvio a giudizio. Ma un’ordinanza della Cassazione appena uscita sancisce la natura privatistica della Rai». Prevale, per Viale Mazzini, la figura giuridica della società  per azioni rispetto alla sua struttura di partecipata dallo Stato. 
Di fronte alle affermazioni di Minzolini si scatena il dibattito politico. Il consigliere della Rai Antonio Verro (Pdl) festeggia e invita la dg Lei a «ridare il posto a Minzolini fin dal prossimo consiglio di amministrazione», convocato per gli inizi di gennaio. Anche il membro Rodolfo de Laurentiis (Udc), che si astenne nel voto su Minzolini, rivendica la sua scelta di allora: «La Cassazione è molto chiara, la Rai non fa parte della pubblica amministrazione». Non è una difesa dell’ex direttore, ma un giudizio sulla linea decisa dall’azienda. Però Paolo Gentiloni, ex ministro delle Comunicazioni nel governo Prodi, garantisce: «Questa ordinanza non c’entra nulla con il caso di Minzolini. Quindi chi teme si rilassi, chi spera si rassegni». Semmai, dice il professor Alessandro Pace, «può rafforzare la posizione dell’azienda. La natura privatistica della Rai permette il licenziamento di Minzolini invece della rimozione».


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