I veri matti siamo noi

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BOLOGNA – Da diversi anni Nanni Garella lavora presso l’Arena del sole con un gruppo di persone in cura psichiatrica presso Arte e Salute onlus. È di fatto una vera «residenza» artistica nello stabile bolognese, che ha dato negli anni frutti molto interessanti e godibili, attraversando testi importanti da Goldoni a Pirandello, da Pinter a Pasolini. Ora si cimentano con un superclassico della commedia, il celeberrimo Medico dei pazzi di Eduardo Scarpetta, da cui proviene il famoso e irresistibile film con Totò, tradotto però nel dialetto della maggior parte degli attori/pazienti, il bolognese. Ecco in scena dunque (aveva debuttato un anno fa, ma ora è in corso una fitta tournée anche fuori dei confini regionali) quello che sicuramente è «lo spettacolo di natale» migliore che ci sia ora in Italia, da raccomandare ad ogni fascia di pubblico, che con la sua voglia di far ridere, offre anche una visione molto interessante e per molti versi crudele della società  italiana oggi: Al dutà¥ur di mà¢t (fino all’8 gennaio all’Arena del sole), traduzione letterale del titolo scarpettiano (come usa spesso nell’Emilia degli amatori teatrali: indimenticabile tempo fa nel modenese uno Stricnina e punt a cros, che era naturalmente Arsenico e vecchi merletti…).
Lo spettacolo ha, rispetto ad esperienze precedenti, la «novità » della presenza in scena, oltre alla compagnia abituale, di due navigate volpi del palcoscenico, Marina Pitta e Vito. Il comico bolognese offre per altro qui una delle interpretazioni più dense della sua carriera, lontano dagli stereotipi «televisivi» che lo hanno reso celebre, ma anzi usando quel bagaglio per una ricognizione inusitata sul mondo circostante. Perché la storia del dutà¥ur è quella classica dello studente che dalla provincia i parenti mantengono agli studi in città . E quando quelli arrivano ad ammirare di persona i frutti dei propri sacrifici, lui, Gigèn, deve correre ai ripari per nascondere di non aver combinato molto negli studi, e di scialare i finanziamenti familiari in una vita dissipata tra caffè e avventure. Dichiara così allo zio con famiglia in arrivo da Marzabotto, di essersi laureato in medicina e di esercitare la psichiatria presso uno «stabilimento di cura», che è in realtà  un normale, pretenzioso quanto sciammannato albergo, dove vivono un gruppo di ospiti stanziali. Saranno loro, senza che lo sappiano, i «malati» cui egli dichiara di applicare la propria scienza medica. In realtà  stranezze, tic, mitomanie e cattive abitudini sono il patrimonio corrente di qualsiasi gruppo umano: basta vederlo in una certa prospettiva, per non dover esitare, per pigrizia o presunzione, a ritenere che si tratta di «matti», definizione sommaria e sbrigativa che si applica a tutto quanto è diverso da noi. A volte con conseguenze e estremismi tragici, come la cronaca insegna. E in barba alla rivoluzione basagliana, che ancora non scrosta via dai nostri comportamenti quotidiani il pregiudizio psichiatrico.
Nella commedia ovviamente il tono è bonario e scanzonato, serve soprattutto per far ridere, ma il bisturi di Scarpetta imbracciato da Garella (oltre che regista anche traduttore del testo, nonché interprete del ruolo di un musicista squattrinato che millanta tournée alla Scala o a Parigi) induce ancora a una serie di risate incontenibili quanto amare. Sulla scena essenziale ed elegante di Antonio Fiorentino che sembra pronta per un’opera lirica (e in effetti vi risuona ciclicamente la Traviata verdiana), il meccanismo comico è perfetto, e non vi si può sfuggire. Si ride per l’intreccio paradossale, quando lo zio sciocco (appunto Vito, davvero irresistibile) si spaventa sempre di più davanti alla vedova petulante che vorrebbe fargli sposare la figlia zitella, o all’ufficiale in congedo che si rapporta al mondo con le gerarchie della caserma, o al dilettante che continua a provare nella hall il ruolo di Otello che reciterà  in una rappresentazione parrocchiale, o gli altri clienti ognuno con la sua debolezza o la sua fissazione. 
Ma dopo aver riso, a momenti davvero fin quasi alle lacrime, c’è l’acido risveglio dello spettatore che riflette sul fatto che gli interpreti della commedia, superbi nel rendere impassibilità  e burla, finto contegno e sane reazioni, sono loro ad essere considerati nella vita di tutti i giorni «matti». Il fatto che siano in grado di rovesciare la prospettiva corrente del mondo, e di far vedere a un pubblico «sano» come ogni realtà  abbia possibilità  di vita e di lettura diversa, è un bagno salutare di saggezza e consapevolezza. Arrivarci con le risate, rende pronti ad arrendersi a quella incontrovertibile verità .


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