A Baghdad torna la guerra, 12 attentati, decine di morti

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Le bombe sono esplose in vari quartieri di Baghdad, sciiti e sunniti, compreso quello commerciale di Karrada dove si è verificato l’attentato che ha provocato il maggior numero di vittime – 13 morti e 36 feriti -, realizzato contro la sede di una commissione governativa. Un kamikaze si è lanciato contro l’edificio con la sua auto imbottita di esplosivo. Gli altri quartieri presi di mira: Alawi e Bab al Mudham, quello sciita di Shula, e quello sunnita di Adhamiya, e poi Amil e Waziriya. 
È come se l’orologio fosse tornato indietro agli anni 2006-2007, i più sanguinosi da quando è iniziata l’occupazione. Il tutto è accaduto all’indomani del ritiro delle truppe americane che ha segnato la fine formale dell’occupazione, il 18 dicembre. Molti osservatori hanno considerato gli attentati l’inevitabile effetto del ritiro delle truppe statunitensi.
Ma non si tratta dell’effetto dell’assenza del controllo straniero, ma dell’eredità  lasciata dagli americani: la divisione tra sciiti, sunniti e kurdi e l’estrema instabilità  di un paese che deve ancora affrontare il nodo della ricostruzione. 
Il premier Nuri al Maliki, appena i soldati Usa hanno superato la frontiera con il Kuwait, ha lanciato la sua offensiva contro i sunniti che facevano parte del suo governo di unità  nazionale, formato con una precaria alleanza un anno fa e che non ha mai funzionato. Una paralisi che ha permesso ad al Maliki di continuare a tenere nelle sue mani il ministero dell’interno e quello della difesa controllando così tutti i servizi di sicurezza. Mercoledì è stato spiccato un mandato di cattura contro il vicepresidente sunnita Tareq al Hashemi accusato di terrorismo. Secondo l’accusa il leader sunnita sarebbe responsabile di attentati a uomini del governo realizzati dalle sue guardie del corpo. Un’accusa smentita dall’interessato ma che trova scarsa credibilità  persino presso gli americani. Hashemi si è rifugiato in Kurdistan e ora al Maliki minaccia di ritorsioni il Kurdistan se non espelle Hashemi. Il vicepresidente non è l’unico sunnita – eletto nella lista laica al Iraqiya – ad essere preso di mira. Al Maliki ha chiesto al parlamento di togliere la fiducia al vicepremier sunnita Saleh al Mutlaq che aveva accusato al Maliki di essere «un dittatore peggiore di Saddam». Che al Maliki governi come un dittatore è opinione diffusa anche tra i manifestanti di piazza Tahrir. Comunque di fronte agli attacchi a Hashemi e Mutlaq il partito Iraqiya ha deciso di ritirate i suoi deputati dai lavori del parlamento e i suoi ministri dal governo. Una decisione che secondo il premier potrebbe portare alla definitiva esclusione dal potere dei sunniti, anche se al Iraqiya nelle elezioni era risultata il primo partito ottenendo 91 seggi contro gli 89 del partito di al Maliki, che si è poi alleato con gli altri partiti religiosi sciiti per ottenere la maggioranza e quindi il mandato di premier.
«Temo che il vacuum causato dall’assenza di un accordo politico porterà  alla partizione del paese, una partizione preceduta da guerre e seguita da guerre sulle frontiere e le risorse naturali», ha dichiarato il vicepremier al Mutlaq alla Bbc.
Una previsione terribile ma non così impossibile, non era forse questo il disegno di Bush padre fin dalla prima guerra del Golfo, quando aveva creato le no fly zone?
Quello che sta esplodendo in questi giorni non è solo uno scontro tra sciiti e sunniti ma anche con i kurdi. Una situazione che se dovesse arrivare alle estreme conseguenze potrebbe portare a una sorta di balcanizzazione dell’Iraq con la divisione in tre zone: kurda, sciita e sunnita. Molti elementi fanno temere che si stia percorrendo questa strada. Mentre al Maliki rafforza i suoi legami con Tehran – nei giorni scorsi è stato firmato un accordo con l’iraniana Sunir per la produzione di energia elettrica nella provincia di Kirkuk – il Kurdistan rafforza i suoi legami con compagnie straniere senza il consenso di Baghdad. L’ultimo accordo è stato firmato dal governo del Kurdistan con l’americana Exxon Mobil per circa 40 miliardi di barili di petrolio e un altro negoziato sarebbe in corso con la Chevron. Sono accordi che mandano su tutte le furie il ministro del petrolio iracheno Shahristani, ma che potrebbero garantire l’autonomia finanziaria del Kurdistan, dopo che ha scoperto di essere ricco di giacimenti fino a qualche anno fa ignorati.
A questi elementi si aggiunge il contesto regionale: se Bashar Assad (alauita, sciita) dovesse perdere la Siria in seguito alla rivolta che sta reprimendo pesantemente, questo paese andrebbe in mano ai sunniti che potrebbero dare un forte appoggio all’area sunnita irachena confinante con la Siria. Ecco perché, tra l’altro, al Maliki vede sempre più con terrore i sunniti, teme che il suo governo possa tremare di fronte a una nuova potenza siriana non più legata all’Iran e agli sciiti, ma ai sunniti.


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